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Giovanni Maria Barbarìa, ultimo parroco ampezzano

Mario Ferruccio Belli

01/09/2012
Dedichiamo un veloce profilo di don Barbarìa, ultimo parroco ampezzano, sesto o settimo a seconda delle elencazione, a don Paolo Arnoldo, suo successore designato, il cui arrivo non dovrebbe essere più tanto lontano. Li accomuna la formazione professionale impeccabile, la personalità dinamica, anzi eclettica, il bilinguismo, l'amore per la musica e, naturalmente, tante altre doti che, ne siamo certi, il tempo ci confermerà.Senza omettere che sono nominati decani entrambi in età matura ( per modo di dire), 62 anni il Barbaria, 65 don Arnoldo.

Giovanni Maria Barbaria (1802-1874) era nato da famiglia ampezzana le cui origini partivano da Venezia, dove esiste tuttora una calle detta Barbaria delle tole, per identificare la professione di mercanti di legname dell'importante famiglia. Aveva studiato al seminario di Udine, e non a quello di Bressanone sua diocesi (ma non ne sappiamo i motivi), ed era stato ordinato sacerdote nel 1827. Come primo ufficio era stato inviato cappellano a Pieve di Cadore ma già nel 1835 era stato promosso a parroco di Lorenzago, dove aveva dato prova di efficienza. Aveva ricostruito la chiesa della Difesa, che risaliva ai primi decenni del cinquecento ed era tanto malandata per incendi e trascuratezza da doverla demolire; ma ne aveva salvato i preziosi affreschi gotici.

Successivamente aveva ricostruito pure la canonica, in solida pietra di Castellavazzo, meritandosi il plauso delle autorità diocesane.Avendo tempo a disposizione s'era iscritto all'università di Padova dove nel 1846 aveva ottenuto la laurea in filosofia. Una intelligenza così brillante era sprecata nella piccola parrocchia di Lorenzago e infatti la curia lo invitava ad insegnare matematica e fisica nel seminario di Udine. Il neo professore decideva allora di completare la sua formazione anche in teologia, ma alla laurea non sarebbe arrivato perché la sorte, per la prima volta, aveva disposto diversamente.

LA RIVOLUZIONE IN CASA
Nella primavera del 1848, quando era a casa a Cortina per le vacanze di Pasqua, scoppiava quella rivolta dei popoli che avrebbe sconvolto l'Europa, alla quale aderiva ribellandosi al governo austriaco anche Venezia, una delle due capitali del Lombardo Veneto. La scelta trascinava con sé pure il Cadore. Il 2 maggio, un manipolo di volontari cadorini irrompeva da San Vito verso Ampezzo, dove frattanto era arrivato un battaglione di soldati austriaci intenzionati a riprendere il controllo dell'i. r. strada postale di Alemagna. L'opinione pubblica e le autorità del comune (sindaco Silvestro Franceschi) non volevano si arrivasse allo scontro vero e proprio, stante i buoni rapporti fra le due popolazioni. Così una delegazione di civili partiva all'alba, prima delle truppe, per un incontro. Don Barbaria venne invitato a parteciparvi. Come è noto, lo scambio di proposte fu purtroppo inutile e da entrambe le parti si sparò. La relazione che egli ha lasciato dello scontro fra le truppe regolari e le bande armate di P. F. Calvi è interessante per la passione del testimonio oculare, ma pure per i dettagli sul numero dei partecipanti, la quantità delle armi, dei caduti, eccetera. Il trauma per la tragedia cui aveva partecipato lo lasciò così stranito che decise di non fare ritorno alla scuola e di rimanere in Ampezzo a fare il cooperatore.
Anzi chiese a Udine d'essere sollevato dall'incarico, ricevendo questo lusinghiero benservito. "La curia arcivescovile certifica che il sacerdote Giovanni Maria Barbaria, originario d'Ampezzo del Tirolo ed aggregato a questa diocesi in vigore di lettere remissoriali del reverendissimo ordinariato di Bressanone, dall'anno 1827 in cui fu promosso al sacerdozio fino al 31 gennaio 1835 fu cooperatore in Pieve di Cadore; dal 1° febbraio 1835 fino al 24 febbraio 1844 curato in Lorenzago; indi fino al corrente anno professore di matematica, fisica e di canto ecclesiastico in questo seminario arcivescovile, nonché cooperatore nella chiesa di santa Maria Maddalena di questa città.
Certifica pure che la di lui condotta fu sempre eminentemente ecclesiastica; sommo il di lui zelo nell'adempiere i vari uffizi che gli furono affidati; e, per gli ottimi talenti e per la distinta pietà di cui è fornito, lodevoli ed utili i servigi che ha prestato a questa diocesi della quale si è reso benemerito. In fede, Domenico Someda, cancelliere arcivescovile". Naturalmente la modesta sinecura ampezzana, cui aveva aggiunto anche la scuola ai ragazzi e l'ufficio di organista da profondo conoscitore della musica, non bastava a riempire la sua mente brillante.
Nel 1851, volendo migliorare la conoscenza del tedesco ottenne di fare il parroco a Sappada, piccola enclave tedesca nella Provincia del Friuli. Vi restò fino appunto alla nomina a decano d'Ampezzo giuntagli nel 1864. Era il premio o, se vogliamo, il traguardo del suo lungo viaggio di studio e di scienza a cavallo delle due frontiere italica e tedesca. Lo spazio non consente di elencare i tanti meriti del suo decanato che, d'altra parte, si trovano nei libri di storia. Diamo soltanto un paio di schegge di cronaca culturale che forse sono sfuggite agli studiosi. Nel 1867, mentre il genio militare demoliva gli ultimi resti del castello di Botestagno, Barbaria vi si recò spesso a verificare se emergessero tracce della sua storia millenaria. Inutilmente, come scrisse con malinconia (?) nel Liber Chronicorum della parrocchia: "Durante il mese di luglio ed agosto 1867 furono asportati gli ultimi rimasugli del castello di Botestagno senza che si potesse rinvenire indizio dell'epoca in cui era stato costruito". Aveva un carattere severo, nonostante l'apparente fragilità e dolcezza che si intuisce anche nell'unica foto che ci rimane di lui, scattata nel 1873.
Lo era soprattutto in campo ecclesiastico, con la totale fedeltà a Roma unita alla pari devozione all'Austria, sua patria e questa gli procurò qualche amarezza. Erano i giorni in cui Firmigliano Degasper, una delle personalità più interessanti del paese, contrario al potere temporale dei papi e sostenitore della laicità della scuola, questioni che allora laceravano l'anima dei cattolici, esponeva le sue teorie in un testo intitolato provocatoriamente "Avvenire di Ampezzo del Cadore". Il decano prendendolo come un affronto alle tradizioni cristiane del Tirolo rispose con un duro pamphlet, peraltro anonimo, che venne distribuito gratuitamente nelle famiglie. Per quieto vivere l'ingegner Degasper, dopo aver tentato inutilmente di ritirare dalla circolazione il suo saggio, lasciò Ampezzo accettando la direzione dei lavori della nuova ferrovia della Dalmazia.

IN UN CALICE D'ORO LA MEMORIA IMPERITURA

La famiglia Barbaria è ormai estinta in Ampezzo, ma non la memoria del suo più illustre rappresentante, morto all'improvviso nel 1874, mentre predicava sul pulpito. Il suo nome lo aveva, fra l'altro, legato anche ad un meraviglioso calice d'oro, forse il più bello della parrocchia di Cortina. E' stato cesellato nel 1867 da Giuseppe Ghedina de Justina (1838-1910), i. r. maestro della Scuola di filigrana, che vi ha composto a smalto e con colori vivaci tre scene: la Trasfigurazione di Gesù con Mosè, Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni; la Risurrezione del Cristo con i soldati attoniti e l'Ascensione con i dodici apostoli intenti a fissare il cielo. In più, sulla base, ha collocato nove medaglioni: l'Ultima cena, l'Agonia nell'orto di Getzèmani, la Flagellazione nel pretorio, l'Incoronazione di spine, il carico della Croce, l'incontro con la Veronica, la crocifissione sul Calvario, la Madre ai piedi della croce, la morte del Cristo. Infine ha inciso all'interno del piedestallo, firmandola Josepf fecit, una lunga dedica che conclude: "perché per l'intercessione di Maria nostra Difesa preservò la parrocchia dalle sciagure nel 1866". Il dono era stato ordinato dal decano Barbaria dopo la disastrosa guerra che aveva sottratto all'Austria il Veneto e la Lombardia, ma non coinvolgendo nella tragedia la comunità d'Ampezzo che ritornava paese di frontiera. Questo andava ricordato.

DON PAOLO ARNOLDO, IL NUOVO PARROCO DI CORTINA D'AMPEZZO
Don Paolo Arnoldo, decano nominato della parrocchia dei santi Filippo e Giacomo d'Ampezzo, carica che assumerà prossimamente, è nato a Goima di Zoldo nel 1945 e attualmente è parroco di Santa Maria Assunta a Merano, diocesi di Bolzano, nella quale è stato incardinato nel 1980. Ama la montagna, la pittura, la musica e i giovani di cui è stato educatore appassionato nelle diverse cure d'anime. Parla correntemente il tedesco, l'italiano e pure il ladino, giacché la sorte gli ha consentito di frequentare a fondo e per intero le due province, specialmente le valli Badia, Gardena e Zoldana. Il seminario lo ha frequentato a Feltre, e poi a Belluno dove nel 1970 è stato ordinato sacerdote, ma ha detto due volte la prima messa a Belluno e poi a Bressanone dove ha trascorso tutte le vacanze ed il tempo libero. In quella città la famiglia, la mamma è mancata nel 1970, è titolare fin dal primo dopoguerra di una avviata gelateria in centro. Naturalmente vi ha altrettanti amici quanti ne conta in provincia di Belluno, dove, fra l'altro, ha conosciuto Albino Luciani, prima suo professore, poi vescovo a
Vittorio, infine papa a Roma, col nome di Giovanni Paolo I. Amabilmente conteso fra le due diocesi, da un lato il vescovo Gargitter dall'altra mons. Andrich, che l'ha visto crescere, risponde a tutte le domande col sorriso sulle labbra, lieto di rappresentare a Cortina d'Ampezzo la continuità storica di una gloriosa "parrocchia di frontiera". (mfb)