Il giovanotto guardava l'omino nascosto dal telo, curvo dietro l'ingombrante macchina fotografica, in attesa dell'ordine. Era vestito signorile per un'occasione importante, ma, per darsi un contegno da "adulto", aveva raccolto un legnetto e lo teneva fra le dita come si stringe un vero sigaro. Non l'avrebbe nemmeno fumato anche se proprio quel giorno egli compiva diciotto anni. Si chiamava Giuseppe Zambelli, abitava ad Acquabona. Era il 1876 e, da pochi anni, quasi davanti alla sua casa proprio a ridosso dell'imperial regia strada postale di Alemagna, il Comune aveva costruito un casotto per le guardie doganali perché quello era il confine di stato. Con la fine del Lombardo Veneto i vicini del Cadore erano diventati sudditi del regno d'Italia, cioè stranieri. La linea telegrafica con Venezia era stata interrotta. I pali lungo la strada c'erano ancora, li aveva piantati Pietro Lorenzi, perciò detto
Piero dai pale. Sarà una combinazione ma Giuseppe, nato nel 1858, di li a pochi anni avrebbe sposato proprio sua figlia Teresa, di tre anni più giovane che gli avrebbe dato due figlie, Annamaria e Giovanna. Ricorda così il nonno la nipote Tesele, figlia di Agostino Michielli Pelele marito appunto di Giovanna Zambelli nata nel 1889.
L'AMMINISTRATORE PUBBLICO
Giuseppe sorrideva raramente, perché aveva un carattere riservato che solo col tempo si sarebbe aperto. Fin da giovane si interessava con passione degli affari pubblici fossero del Comune che delle Regole. Non aveva ancora trenta anni quando nel 1887 era stato eletto nella commissione che avrebbe dovuto recasi ad Innsbruck a difendere gli interessi della comunanza, tanto più che parlava alla perfezione il tedesco, lingua peraltro ufficiale. Il governo di Vienna non aveva mai accettato che il territorio dei pascoli montani fosse governato in esclusiva dalle antiche famiglie del paese, specialmente ora che la rete amministrativa di tutta la monarchia veniva riorganizzata in forma unitaria, dove non avrebbero dovuto sussistere isole di autonomia. Al termine di lunghissime discussioni i commissari erano riusciti ad ottenere che almeno il "diritto di possesso" venisse riconosciuto alle Regole. Viste le premesse era un buon successo per gli Ampezzani, così il ritorno a Cortina della commissione, passata alla storia come fautrice del "Convegno di Innsbruck", era stato giustamente festeggiato. Nessuna meraviglia se Zambelli veniva eletto più volte in consiglio comunale, anzi anche assessore con il capo comune Ghedina Frajo, nel triennio 1892-1894. Era ormai una delle persone in vista in Ampezzo. La sua riconosciuta conoscenza del territorio e delle problematiche turistiche, nel 1900, gli portava l'incarico di individuare sul valico del Tre Croci il terreno dove le guide alpine avrebbero voluto costruire un rifugio, purtroppo non più realizzato. L'anno seguente era inviato invece sul passo Falzarego, ancora per la scelta di un lotto di terreno da cedere ai fratelli Menardi Malto, perché vi costruissero un albergo, poi puntualmente realizzato.
La moglie gli aveva dato due figlie adorate. Si recava tutti i giorni a Cortina, a piedi naturalmente, dove era salutato come el Gabona, perché rappresentava idealmente la lontana frazione e di conseguenza accettava con un sorriso quel soprannome semplice, amicale.
DIRIGENTE DELLE CATENE D'ACQUA
Ma il riconoscimento più bello, almeno per i tempi, gli arrivava dal Comune in una missiva speciale indirizzata a lui e ad altri cinque uomini in vista del paese. "La direzione della Società dei pompieri volontari ha fatto l'esperienza che, in casi d'incendio è necessario vi siano persone che abbiano una specie di autorità … perciò giusta comunicazione dei ecc. ecc …. vi ha nominato quale dirigente le catene dell'acqua in casi d'incendio; e, nel mentre lo scrivente vi comunica tale nomina, vi rimette nel compiego la fascia che, all'occorrenza, applicherete al braccio affine di essere come tale riconosciuto. Il capo comune Demai". Cosa significa "catene d'acqua"? Linguaggio ermetico usato per esigenze particolari? Assolutamente no. Anzi si trattava di un problema, in quegli anni di piena attualità e non solo in Ampezzo, per gli incendi che scoppiavano frequentemente nei casali dove abbondava il legno.
Se vicino non c'era una fontana, un lavatoio o un brento, dove attingere (gli impianti appositi sarebbero arrivati soltanto negli anni Trenta) bisognava andare a procurarsi l'acqua al torrente, con i secchi, passati di mano in mano, lungo una catena umana. L'operazione, detta in dialetto "fei manina", era complicata e richiedeva coordinamento, prontezza, ordine. Ecco la necessità di un coordinatore, che fosse energico, ma accettato dai volontari e soprattutto disponibile in qualunque tempo dell'anno, notte e giorno. Questo è l'ultimo documento spedito al suo indirizzo di Acquabona. L'anno seguente Giuseppe Zambelli costruiva a Pezié, ai bordi della strada di Alemagna, "una casa di mq 96, di tre piani e soffitta, spendendo corone 8500"; che, nel 1909, sarebbe stata ingrandita con l'aggiunta di una veranda. Si chiamava Villa Zambelli, aveva la licenza di osteria e locanda, come si vede sulle vecchie fotografie, e l'avrebbe gestita sua moglie, con l'aiuto delle due ragazze, fino ai primi anni dopoguerra (è l'odierna Villa Resy). La famiglia vi si trasferiva nel 1905 lasciando Acquabona e la casa avita. Ma per tutti Giuseppe sarebbe rimasto el Gabona. Nel 1922 l'adorata Teresa se ne sarebbe andata lasciandolo vedovo e triste per troppi anni. Una lunga storia di ordinaria dignità dietro alla foto di un giovane serioso che fa piacere ricordare.