Sono arrivati a conclusione i lavori di restauro (filologico?) dello splendido edificio di Corso Italia n. 119, Galleria Verni, con l'adiacente negozio Antoniol, un tempo farmacia Cambruzzi. Ma prima che cosa era? Domanda più che legittima cui tentiamo di rispondere.
L'immobile risale nella sua forma esterna a prima del 1905 essendo stato comperato nel 1899 da Egidio Apollonio (1864-1954) de chi de Varentin, in compagnia del dottor Vittore Cambruzzi di Adriano, nato a Cortina 1862 e morto a Innsbruck nel 1920. Si trattava di una vecchia costruzione, con un discreto terreno ad orto verso valle, e i due acquirenti, sufficientemente danarosi, avevano programmi per il suo ricupero.
Il Cambruzzi, avendo avuto lo sfratto della farmacia paterna, la prima in Ampezzo nel 1863, situata sull'angolo del Municipio vecchio che guarda l'albergo Posta, era dunque bisognoso di un nuovo locale dove spostarsi.
Egidio Apollonio, figlio di Giovanni Pietro, rinomato stuccatore e decoratore che aveva lavorato anche per la chiesa parrocchiale, allettato dal boom del turismo meditava invece di farne un albergo.
Concluso assieme l'affare, ricevuti i permessi di costruire, «la nuova fabbrica verrà costruita a 2 metri dal ciglio della cunetta, in luogo della vecchia ora esistente al civico n. 6 che verrà interamente demolita», chiesero al Comune, com'era di prassi, l'assegnazione gratuita del legname «occorrente pella fabbrica ad uso interno». Curiosamente, l'ottenne solo il Cambruzzi «visto che è ampezzano (?) e che ha diritto al percepimento del necessario legname per uso della propria famiglia»; mentre venne negato all'Apollonio in quanto «possiede già pei propri bisogna casa e fienile sufficiente».
Di fatto, già nel 1905, era funzionante l'albergo denominato giustamente Centrale, come si vede dalle cartoline d'epoca.
Adiacente, anzi aderente, doveva funzionare già da qualche tempo pure la farmacia Cambruzzi, ma di quella però non possediamo fotografie. Peraltro sappiamo con certezza che esisteva, eccome, perché non si limitava a vendere medicinali ma ben altri generi di consumo. La vicenda è curiosa; ha quasi il profumo (sic) di un evento leggendario e perciò vogliamo raccontarlo partendo da una lettera.
«Cortina li 19 maggio 1905. Alla Magnifica Comunità Ampezzo.
È già da lungo tempo che la popolazione d'Ampezzo, specialmente poi quella di Cortina, e con giusta e sacrosanta ragione, si lagna come che sia permesso al signor farmacista Cambruzzi di tenere una quantità di benzina in botti nella propria abitazione e quasi, dico, nel centro di Cortina!».
Qualche annotazione. La prima per ribadire che, a Cortina agli inizi del secolo il farmacista svolgeva anche il ruolo di benzinaio.
A favore di chi? Prima di tutto vendendo il petrolio da illuminazione, giacché soltanto i pochi alberghi del centro, e gli uffici del capitanato distrettuale, erano serviti dalla corrente elettrica prodotta dai fratelli Colli Codès nella loro centrale sul torrente Bigontina; per secondo fornendo la benzina, appunto alle rare automobili in circolazione. Entrambi i combustibili erano conservati nei barili, tenuti negli scantinati della farmacia, con tutte le conseguenze che si possono immaginare e che emergono subito. «Dalla lodevole rappresentanza forse si risponderà che la detiene in un locale chiuso, va benissimo, lo ammettiamo. Ora per altro noi domandiamo, non può succedere per una imprudenza nel prendere la benzina che questa si accenda? Non può succedere un incendio nell'abitazione?». Ma chi erano i cittadini allarmati che protestavano «con giusta e sacrosanta ragione»? Eccoli: i fratelli Pietro, Cesare e Raffaele Ghedina Tomash, comproprietari dell'albergo Aquila Nera e pure di un hotel a Dobbiaco, il loro cugino (?) Ilario Ghedina dimorante nella casa al di sotto dell'Alemagna, Angelo Recafina titolare del Albergo Cavallino, Agostino Kantschieder, notissimo sellaio, Cesare Constantini dell'albergo Regina e, ahimè, Egidio Apollonio già socio d'affari del Cambruzzi.
Ancora la lettera che ora si fa drammatica, per non dire patetica.
«Correte povera gente a prestare l'opera vostra a spegnere l'incendio; e frattanto si accenderà la benzina e purtroppo allo scoppio resterete tante vittime! Noi domandiamo ancora, per qual motivo abbiamo la polveriera lontana dalle abitazioni? Non è forse la benzina più pericolosa? Dobbiamo noi forse aspettare che la disgrazia succeda per porvi rimedio? No e poi no!».
Per chiudere, infine, la perorazione con la coda (minacciosa) sulle future responsabilità del lodevole Comune, in caso dell'avverarsi della temuta disgrazia. «E quindi facciamo istanza che questo lodevole Comune, quale autorità di polizia locale, ordini tosto al signor Cambruzzi di allontanare dalle abitazioni il suo deposito di benzina in un luogo isolato come è prescritto dalla legge, a scanso di multa severa ed allontanata la benzina per forza.
A tutto ciò si aggiunge che, nel caso il Comune non volesse attenersi strettamente alle prescrizioni di legge, se lo richiama responsabile di tutte le conseguenze che eventualmente potrebbero succedere, tanto della benzina quanto del petrolio. Nella speranza di essere esauditi ci firmiamo».
La conclusione? Non è noto se il sodalizio temporaneo creatosi fra l’Apollonio e il Cambruzzi per comperare assieme la vecchia casa, ristrutturarla e trasformarla, rispettivamente in albergo e in farmacia, abbia resistito alla diatriba che aveva visto fra i contrari a tenere benzina negli scantinati assieme al vicinato pure l’albergatore.
L’esito della lamentela è invece conosciuto perché da certi altri documenti (1909) risulta che il farmacista possedeva in località Nighelonte, in direzione di Fiames, un baracchino costruito su un terreno adiacente la strada di Alemagna, per custodire i pericolosi barili.
Allo scoppio della guerra, il farmacista Cambruzzi e la famiglia hanno lasciato per sempre Cortina, trasferendosi ad Innsbruck, dove la moglie aveva una dimora, e dove il primo dei cinque figli maschi, Walter, giovanissimo ufficiale dell'i.r. Armata, stava per partire per il fronte russo.
In quella città dovrebbero vivere ancora i nipoti degli altri figli: Ivo, Erich, Erwin ed Ewald. L'albergo Centrale che, invece, aveva superato indenne sia la prima che la seconda guerra, è stato purtroppo travolto dai problemi della successione ereditaria, dopo il 1960, e messo in vendita. Egidio Apollonio de chi de Varentin è mancato nel 1956, mentre la prima moglie Isabella Stefani (di cui riportiamo la foto), madre dei suoi sette figli era morta (di parto?) ancora nel 1910.
Della seconda sappiamo solo il nome, Genoveva, e che era nata ad Innsbruck.
Suo figlio, ed omonimo Egidio junior (1905-1981) che ha gestito l'albergo Centrale per tanti anni, aveva sposato Herta Wanderer da Vienna (1909), mancata a Bergamo alla bell'età di 91 anni. In una casetta nei boschi di Vienna vive oggi l'ultimo nipote, Manfred Apollonio, medico pneumologo in pensione, inguaribilmente ammalato di nostalgia per la camera d'angolo, nell'albergo dai muri di colore rosa, dov'è nato nel 1941 e dove ha trascorso l'infanzia prima di emigrare lontano.