Il rifugio ai piedi del Sorapis oltre al pregio di trovarsi accanto al lago più azzurro delle nostre montagne, vanta altri due primati. Dopo la sua nascita nel 1891 è stato ricostruito ben tre volte, la prima (1896) e la seconda (1923) perché distrutto dalle valanghe, l'ultima nel 1958 per una canna fumaria surriscaldata che l'ha mandato in cenere. L'altra peculiarità positiva è di aver avuto come gestore una donna, l'ampezzana Teresa Padovan (1856-1921) da Salieto. Gli inizi della storia si trovano nelle carte scritte dal club alpino austro-tedesco di Cortina al Comune per chiedere «il fondo di 100 m2 presso il lago Sorapis e ciò per fabbrica di un rifugio». Per conto di chi? Non era detto, ma al Consiglio comunale non interessava perché era certo che il nuovo rifugio avrebbe contribuito al concorso dei forestieri e per facilitare la salita del monte Sorapis. Infatti concesse tutto e gratuitamente, compreso il legname da fabbrica e le legne per abbruciare una fornace di calce. Il prezioso residuato archeologico coperto dalla vegetazione esiste ancora e testimonia il buon servizio reso anche successivamente. Per il solo terreno, tuttavia, si sarebbe dovuto ottenere anche il permesso delle Regole che, fin dai tempi remoti, mandava il gregge delle pecore su quei pascoli.
Vi arrivavano sia scendendo da Marquoria che risalendo da Valbona. Questo secondo percorso di lato alla cascata divenne il sentiero più usato. Lo percorsero anche gli operai del carpentiere Zangiacomi d'Auronzo, finanziato, ennesima sorpresa, dal club alpino di Pfalzgau, nei pressi di Mannheim, che quale proprietario diede il proprio nome al nuovo rifugio.
LA SOLENNE INAUGURAZIONE
In considerazione della lontananza da Cortina l'apertura ufficiale venne pianificata su tre giorni densi di attività. Il 7 agosto 1891 era previsto l'arrivo degli ospiti e delle autorità straniere alloggiate all'hotel Croce Bianca che, solo casualmente, apparteneva a Giuseppe Verzi presidente del Club alpino di Cortina. L'otto agosto alle ore cinque antimeridiane precise partenza in corpore da Cortina… con arrivo al Pfalzgauhuette, alle 9,30; per la benedizione del rifugio. Alla sera, alle otto precise, nel salone dell'hotel era programmato un concerto offerto dalla locale orchestra. Il terzo giorno, 9 agosto 1891, tutti sarebbero saliti a piedi al Belvedere di Crepa per una colazione!. Il prospetto venne spedito a tutte le associazioni sportive tedesche e italiane. Ne parlò il bollettino del Cai segnalando che ad accogliere gli alpinisti era stata Teresa Padovan e che il rifugio è provvisto di provianda. Teresa gestì il rifugio da allora fino al 1914 ininterrottamente, salvo che nell'estate del 1895 perché nell'inverno la valanga se l'era portato via. Ma l'anno dopo la costruzione, seppure spostata di un centinaio di passi più a nord, era nuovamente in piedi e la dinamica Padovan era nuovamente al suo posto. Naturalmente il club alpino tedesco aveva dovuto inoltrare una nuova domanda e altri disegni, motivandola dalla necessità di allontanarsi dalle valanghe. Da questi si apprende che aveva una pianta di 50 metri quadri, era su due piani, a terra i servizi e la sala da pranzo, di sopra due stanzoni e una cameretta.
SENTIERI E PERICOLI
In quella nuova veste, nell'estate del 1900, il rifugio accolse la regina d'Italia Margherita di Savoia. I giornali commentarono.
«Sua maestà, entusiasta per il magnifico panorama, fece molte lodi per il pulito e pratico ricovero e ringraziò per il ricevimento cortese». Ma qualche giorno prima l'imperial regio capitanato s'era informato "ai sensi dei paragrafi 2, 7, 8 del Regolamento ecc. ecc." sulla persona ed età di Padovan Teresa; e il comune aveva garantito che: "è adatta a condurre tale esercizio". Dunque fu lei ad accogliere degnamente la regina che era ospite di un grande albergo di Misurina. Oggi è frequentato preferibilmente lungo il sentiero dal passo Tre Croci. L'avevatracciato appositamente il club alpino ampezzano, attirando peraltro l'attenzione delle autorità per quel piccolo tratto in cui i turisti meno abili erano esposti al pericolo. «Mentre a destra s'erge la rupe, a sinistra s'apre il profondo precipizio coperto solo da pochi cespugli di pino mugo… » Perciò fu ordinato di collocare una tabella nelle due lingue del paese. Quella italiana diceva. «Avviso. Qui viene un punto pericoloso. Badi chi vuole passare! Sezione Ampezzo del Club alpino austro-germanico».
OSPITI
Da qualche tempo il rifugio è servito da una teleferica che sale da Valbona, ma alle origini, e per molti anni, tutto vi arrivava come si dice a schiena di uomo. Più spesso la schiena era di donna, quella appunto di Teresa. Con i suoi capelli scuri raccolti stretti attorno alla testa, la carnagione bruna per la vita all'aperto, ai piedi le pantofole di pezza, scarpet, il grembiule colorato e la figura imponente, era chiamata familiarmente zia dagli stranieri.
Per il latte teneva una capra dal pelame bianco nero. Per portare a 1921 metri di quota i viveri e le bevande, ma non l'acqua che lassù abbonda, si serviva anche di un mulo. Per la cucina consumava circa tre metri cubi di legna da fuoco all'anno. Il Comune avrebbe voluto conteggiargliene di più e per un paio di volte le toccò fare ricorso, portando a sua testimonianza la parola del pastore Giovanni Majoni Vecchia, la prima volta, e del "guardaboschi Siorpaes Serafino" la seconda. Erano i soli che vi arrivavano anche nei giorni di maltempo. Quando nel 1923 il vecchio rifugio Pfalzgau, che alla fine della guerra era stato assegnato al Cai di Venezia e ribattezzato a Cesare Luzzatti, venne distrutto per la terza volta, Teresa Padovan non c'era più da due anni. Ma il suo straordinario ricordo, ravvivato in seguito dalla zia Rachele, viveva nella famiglia in Ampezzo come ritorna oggi alla nostra ammirazione.