«DOMUS MEA, DOMUS ORATIONIS VOCABITUR»
    

Ricerca avanzata

Tutte queste parole:
Frase esatta:
    
logo

Ricerca sul sito

Ricerca normale (una di queste parole):
Tutte queste parole:
Frase esatta:

«DOMUS MEA, DOMUS ORATIONIS VOCABITUR»

Luca Dell'Osta

01/01/2009
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera» (Mt 21, 13; Is 56, 7).
Dopo mesi di chiusura e di intensi lavori, finalmente la chiesa parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo ha riaperto i battenti, mostrandosi per prima in tutto il suo rinnovato splendore ai fedeli accorsi la notte del 24 dicembre per assistere alla Messa di mezzanotte.
A nessuno è sfuggito il radicale cambiamento: i colori dei muri, le decorazioni e gli affreschi sono tornati a risplendere, luminosi, finalmente liberi da una patina di pulviscolo e di sporco, eredità di decenni di devozione.
Ma come si è arrivati a questo risultato così soddisfacente, che ha riempito di gioia tutti i fedeli? Fondamentale è stato il lavoro dell'architetto Gianluca Ghedini, che ripercorre le varie fasi del restauro, dai primi studi effettuati per decidere la tipologia dell'intervento fino alla progettazione dell'ultimo stralcio di lavori, quello che vedrà il consolidamento e il rifacimento della pittura esterna della chiesa.
«Il primo obiettivo che insieme all'allora decano don Francesco De Luca ci eravamo posti», racconta Ghedini, «era quello di ridurre i costi dovuti al riscaldamento, innanzitutto cambiando la caldaia. La soluzione che abbiamo adottato, anche sulla scorta di altre chiese e cattedrali, come quella di Milano, è stata per il riscaldamento a pavimento.
Inizialmente si pensava di mettere le fonti di calore solamente sotto i banchi, ma la superficie era troppo esigua per riscaldare tutta la chiesa; ci sarebbe stato anche un non trascurabile disagio dovuto alle correnti convettive che si sarebbero formate. La seconda ipotesi presa in considerazione, quindi, è stata quella di sovrapporre un altro pavimento a quello già esistente: con questo intervento però si sarebbe snaturata l'architettura della chiesa.
Abbiamo quindi optato per la soluzione più radicale: quella di cambiare completamente il pavimento. E poiché c'erano già spinte per restaurare almeno la facciata principale, si è deciso per un intervento che coinvolgesse tutta la chiesa, dal pavimento, ai muri e agli affreschi, per finire con l'esterno. Visto il considerevole impegno economico, si è deciso di procedere a stralci, il primo dei quali, conclusosi nel dicembre 2007, ha riguardato il rifacimento della pavimentazione.
È, se vogliamo, quello che ci ha dato più problemi:
sapevo che avremmo trovato reperti archeologici, ma poi il lavoro si è dimostrato più lungo e oneroso di quanto avevamo preventivato. I lavori sono stati fermi per un mese e mezzo. Siamo comunque riusciti a riaprire per le festività natalizie, grazie anche alla serietà e alle capacità logistiche della DottorGroup, la ditta che ha eseguito i lavori.
Quest'anno il Parroco ha deciso di iniziare anche con il secondo stralcio e la chiesa è stata quindi oggetto di restauro per due periodi: dal primo giugno alla metà di luglio per il presbiterio, e da settembre a dicembre per tutto il resto della chiesa. Il numero dei restauratori che lavoravano in chiesa è aumentato in fieri, in modo da permettere la consegna puntuale dei lavori e la piacevole visita guidata alla chiesa cui hanno partecipato moltissime persone. Durante questi due interventi è stato tolto dalle pareti lo strato di impurità, le crepe dei muri sono state consolidate, ed è stata data continuità alle parti pittoriche che con il tempo si erano deteriorate o addirittura staccate dagli affreschi o dalle decorazioni».
Questi, in linea di massima, i vari momenti del restauro. E ormai si pensa già all'esterno, dove l'intervento riguarderà le pareti e il tetto: «Il progetto», continua l'architetto Ghedini, «prevede che i muri esterni ritornino al colore originale: bianco, con decori sulle paraste e sui cornicioni. L'attuale colore giallo risale agli anni Venti.
Dovremo inoltre procedere alla demolizione delle numerose parti in cemento che sono state aggiunte nel corso degli anni, con una conseguente ritinteggiatura.
Poi si interverrà anche sul tetto e sulle scandole, mettendole in sicurezza. Poi basta, almeno per i prossimi cinquant'anni!», aggiunge sorridendo.
Di fronte all'intervento che la DottorGroup ha effettuato nella chiesa parrocchiale, si è alzata anche qualche voce critica. Perché non ritinteggiare, invece che limitarsi a togliere le impurità? Ne danno due spiegazioni Ghedini e il parroco don Davide, differenti nella forma ma… uguali nella sostanza: «Da anni ormai i restauri sono conservativi», dice Ghedini; «a casa propria uno dà una mano di bianco, mentre per un monumento non si può operare così: altrimenti se ne travisa l'essenza». «Pensavo a questa chiesa», ha detto invece don Davide, durante l'omelia della Messa solenne di Natale, «e alle mura di questa chiesa. Fino a qualche mese fa, erano sporche, impregnate per la caligine di candele e per i residui dell'incendio del 2001. C'erano crepe, alcune piuttosto preoccupanti. Che fare? Buttiamo via tutto? Costruiamo una chiesa nuova? No… è molto più esaltante restaurare. E qui ho dovuto imparare tanto dai tecnici e dalle maestranze. Sarebbe molto più facile tinteggiare sopra allo sporco, coprire di tempere e di vernici quelli che sono i residui dei secoli. Ma quello non è restauro: con buona pace di chi lo esercita per professione, è opera da imbianchino. Restauro invece è pulire, è togliere lo sporco, è risalire fino allo strato primigenio, anche se mi riporta le ombre di una tinteggiatura antica, ma originale. Restauro è salvare quanto di bello resta, ma metterci anche la mano nuova che integra, aggiusta, sana».
È scontato, ma necessario, in questi casi, parlare dei costi: l'intervento di restauro della chiesa verrà a costare più o meno tre milioni di euro, di cui ne sono già stati impiegati oltre due milioni per i primi due stralci (quello del pavimento e quello appena terminato sulle pareti e sugli affreschi).
La parrocchia può contare sui finanziamenti del Ministero dei beni culturali, che ha promesso di coprire il 40% dei costi del primo stralcio, e sulla generosità dei parrocchiani. Il resto dei costi dovrebbe essere coperto con una percentuale dei proventi che si intende ricavare dall'alienazione di Villa Alessandra anche se, per rispetto alle volontà testamentarie di coloro che l'hanno lasciata in eredità alla parrocchia, il più di quel ricavato sarà destinato alla ristrutturazione dell'asilo e delle altre opere parrocchiali.