Caro Direttore,
approfitto dello spazio che il Suo giornale mette a disposizione dei lettori per fare alcune considerazioni generali.
Prendo spunto da un fatto: venerdì 20 novembre mi sono recato in municipio, e un cartello in ampezzano (solo in ampezzano!) avvisava che, a causa dei lavori, l'ufficio protocollo era stato spostato in un'altra sala.
Orbene, pur riconoscendo la piccolezza dell'evento (credo che siamo tutti d'accordo nel sostenere che i problemi di questo paese siano ben altri!), non ho potuto fare a meno di pensare a quali sono stati i risultati, da qualche anno in qua, del «ladin pride», chiamiamolo così, dell'orgoglio ladino: da una parte, richiamo alla storia e alla cultura passati, alle tradizioni, ai vece, alle radijes; dall'altra, non siamo riusciti a mantenere uno scambio civile di opinioni: ecco quindi litigi, rancori, maldicenze, e chi più ne ha più ne metta.
Soltanto il falso perbenismo, che sembra imperare a Cortina, ci impedisce di renderci conto che tutti quanti siamo vittime di queste brutte abitudini.
Che non si limitano, purtroppo, alla sola questione del «ladini sì, ladini no», sempre con il problema di stabilire che cosa intendiamo con il termine «ladini»: vediamo una sterile contrapposizione nelle associazioni, tra i sestieri, nell'amministrazione e in politica… e si potrebbe continuare.
Ormai la profonda ferita lasciata dal referendum del 2007 sembra essersi cicatrizzata del tutto: non possiamo permetterci che si riapra (ha già fatto troppi danni), nemmeno scrivendo cartelli che qualcuno non può capire perché l'ampezzano non lo sa (come me).
Un'ultima considerazione: ogni ferita profonda porta con sé una cicatrice, che non si può eliminare, nemmeno con il tempo.
Ora quindi dobbiamo fare una cosa: chiederci se è davvero stato necessario, due anni fa, aprire quella ferita: io credo che si sarebbe potuto evitare.
Teniamolo ben presente per il domani: per i nostri ragazzi, per la nostra terra, e perché di ferite il nostro paese ne ha viste anche troppe.
Lettera firmata