Cinquantadue anni fa due signore, Maria Luisa Astaldi e Giulia Falk, in comunione con il Comune di Cortina danno vita alla Fondazione Cortina d’Ampezzo per Anziani. «Da quando è nata, la Fondazione si è principalmente occupata di gestire una casa per anziani autosuffcienti, questo era lo scopo statutario. All’epoca si era pensato che potesse essere utile avere una casa per autosufficienti dove le persone potessero andare, gestire delle cose in comune, “vivere” insieme in dei micro appartamenti» riporta il presidente della Fondazione Giacomo Pompanin. Questo obiettivo, però, non è mai stato raggiunto: «le varie amministrazioni, senza dare colpa a nessuno in particolare, che si sono succedute non hanno avuto interesse a realizzare questa struttura».
Quindi adesso quali obiettivi si dà la Fondazione?
Con il passare degli anni, le esigenze sono cambiate. Quando sono stato eletto presidente, si è pensato che bisognasse contestualizzare le esigenze, e capire se l’ambizione di avere una casa comune fosse ancora attuale. Abbiamo voluto identificare dei progetti che potessero esser utili per il paese e per gli anziani. Nonostante l’attenzione sia messa in particolare sugli anziani, andando avanti io noto che queste cose si sono inserite l’una con l’altra, il discorso sociale è molto più ampio dei soli anziani. La partecipazione sociale non lascia fuori altre fasce d’età.
È stato condotto un sondaggio durante la pandemia da Covid-19, da cui si è concluso che nessuno chiede oggi una casa, quello che viene chiesto è uno spazio comune, perchè effettivamente gli spazi comuni a Cortina non ci sono. Questo sarebbe uno spazio d’incontro, per fare attività insieme, vedersi e scambiarsi opinioni. Un luogo di scambio e aggregazione insomma.
A unire tutte queste idee e proposte così diverse esiste un filo conduttore “quello di unire pubblici diversi e generazioni diverse, anche per non ghettizarli nelle loro specificità
Sulla base di questa esigenza quali iniziative porta avanti la Fondazione?
Abbiamo messo in piedi un orto, di natura a metà tra il comune e il didattico. Dovrebbe essere un orto collettivo, cioè preso in gestione dalla Fondazione che pagherà una figura per gestirlo ma al quale chiunque potrà partecipare contribuendo genericamente dove e quando c’é più bisogno. Nel progetto sono comprese anche le api. Abbiamo unito l’aspetto didattico in collaborazione con il museo etnografico di Cortina, ideando un progetto mirato a capire cosa veniva coltivato in passato, quali sono le produzioni autoctone. Abbiamo anche coinvolto “coltivare condividendo”, associazione di Feltre che si occupa proprio di scambio di semi, per tenere una lezione per l’Università per anziani sui semi. Ma per noi sarebbe interessante far partecipare la popolazione in senso più ampio. Potrebbe essere interessante per un liceo sceintifico, che potrebbe studiare tutta la parte biologica e di conservazione dei semi. Ma anche, per il lato gastronomico, l’istituto alberghiero che potrebbe essere fornito di coltivazioni locali.
Un altro progetto è quello della radio. Vogliamo instaurare una conversazione tra bambini e anziani, incentrata sui temi dell’educazione civica e in particolare sull’ambiente - naturale, sociale, storico eccetera. Si partirà da un museo o da oggetti che possono stimolare dei ricordi per raccontare momenti storici, mettendoli magari a confronto tra di loro. Le riflessioni che nasceranno durante due laboratori verranno poi registrate in diretta. Questo è un prodotto finale di un percorso a cui si arriva assieme, che forse è l’aspetto più interessante, più dei 10 minuti di ascolto di risultato.
E quali sono le idee sul tavolo per il futuro?
Ci sono molte idee che sono ancora ai primi passi di progettazione, tra cui un corso di maglia, di bricolage, il gruppo di lettura. Un buon risultato sarebbe che queste cose vadano avanti, non dico in autonomia, ma meno mediate. L’obiettivo è aggregare le persone, quindi ogni cosa è ben accetta, da quelle più articolate a quelle più spontanee. Forse lavorare su questi progetti è più facile far partecipare le persone, se l’impegno è relativo.
Oltre ai progetti, avete anche l’ambizione di fornire dei servizi alla popolazione: di che tipo? Che tipo di collaborazioni vorreste instaurare?
Ad oggi riscontriamo che da una parte il Comune pare particolarmente gravato, dall’altra le persone effettivamente chiedono più servizi. Noi vorremmo inserirci in servizi di prossimità, sul locale. Questo prenderebbe la forma, per esempio, di un volonariato locale che si incarichi di andare a prendere la persona in questione, portarla a fare le commissioni del caso - dalla spesa, alle poste - e riportarla a casa. Oppure, del progetto che noi chiamiamo “buon vicinato”: un aiuto in piccole riparazioni o lavoretti domestici. Di recente è stato messo in piedi uno sportello di ascolto, pensato per risolvere le cose che possono creare difficoltà nella quotidianità: potrebbe essere ririrare dei referti medici, tutto quello che ha a che fare con il computer, con la creazione dello speed. Queste sono domande che vengono poste agli uffici o agli assistenti sociali del comune che però non possono prendersi carico di questi aspetti di ordinaria amministrazione dell’individuo. È troppo per i servizi che può offrire un’amministrazione comunale. È infatti proprio dagli assistenti sociali che è emersa la richiesta di progettare questo sportello e di aiutare nello sbrigare della pratiche digitali.
Che ostacoli incontrate nel trasformare queste idee in realtà?
La problematica principale è la difficoltà a parlare con l’amministrazione pubblica. Per me è obbligatorio collaborare con chi si dovrebbe occupare necessariamente di queste cose, cioè il Comune. Io mi aspetterei una partecipazione a una visione comune a un progetto più ampio, di riuscire ad andare insieme in una direzione che sia comune, potendo lavorare insieme serenamente. Nel caso specifico, sì bellissimo il progetto dell’orto, ma adesso stiamo diventano pazzi per dei paletti burocratici, se ci va bene l’orto cerchiamo di fare l’orto.
Che tipo di rapporto avete, quindi, con l’amministrazione comunale?
Sul lato pratico, ci incontriamo settimanalmente con assistenti sociali e operatori della casa di riposo. All’interno del consiglio della Fondazione ci sono due rappresentanti del Comune con cui cerchiamo di andare incontro alle esigenze che esprimono. Ma rimane un probelma legato alla visione complessiva dell’iniziativa. Sicuramente siamo potenzialmente un attore molto interessante per un’amministrazione pubblica, al momento, però poco sfruttato. Mi piacerebbe che la fondazione fosse vista come un attivatore di processi virtuosi, anche perchè l’amministrazione ha più difficoltà a livello di gestione e burocrazia.