Chi può affermare, con granitica certezza, che un'opera d'arte sia bella oppure no?
Vanamente filosofi, esteti e uomini di cultura si sono affaccendati per trovare un modello assoluto cui fare riferimento, o una scala di valori grazie alla quale, poi, si potessero valutare statue, dipinti ed edifici.
«L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è», disse un giorno il pittore svizzero Paul Klee (1879-1940). E cosa ci può essere di più vero, dopo aver visto la mostra «Daimon» di Mauro «Lampo» e Saturno Buttò? Dispiace apprendere, invece, che temi forti, indispensabili in una società come quella di oggi per rendere «visibile ciò che non sempre lo è», siano stati travisati: dáimon nel senso cristiano del significato – demonizzato - e non in quello classico, da Socrate in poi.
I livelli di lettura nell'arte sono molteplici: può piacere o no, e il bello è proprio questo: ho ragione io che apprezzo l'opera, e ha ragione quello a cui l'opera non piace. Ma condizione imprescindibile per una valutazione di merito è l'aver capito il senso di ciò che si ha di fronte: non fidiamoci mai troppo delle nostre capacità interpretative - non tutti sono critici d'arte! - ma chiediamo spiegazioni all'artista, sia esso anche Mauro «Lampo»: correremo il rischio di farci piacere un'opera che, dopo una sommaria occhiata, ci sembrava quasi blasfema.
Luca Dell'Osta