Parlare dei servizi postali è un po' come parlare del tempo e della politica nazionale: discorsi generici in cui si dà voce ai luoghi comuni più ripetuti, dove ci si infervora raccontando gli episodi di ritardo e disservizio che ognuno di noi tiene a memoria per le occasioni di questo tipo.
Entrare all'ufficio postale, poi, significa oggi essere bombardati da offerte di vario genere: uno scaffale sempre più grande con libri, film e giocattoli stringe d'assedio i cittadini in coda allo sportello, mentre dall'alto occhieggiano le offerte bancarie delle poste: sereni paesaggi agresti e scene di famiglie felici ci invitano a investire nel conto corrente o nei titoli postali, più sicuri e vantaggiosi di quelli offerti dai concorrenti tradizionali.
A metà fra un supermercato e una banca, va però detto che l'ufficio postale di Cortina confonde oggi meno i cittadini rispetto a qualche anno fa, quando una moderna ristrutturazione aveva catalogato in modo molto preciso gli sportelli dedicati al business, al bancoposta e agli utenti privati, con parole di estrazione così anglofona e burocratese da rendere impossibile a una persona capire dove si acquistavano i francobolli e dove poteva spedire una raccomandata.
Oggi un'unica coda porta ai tre sportelli, dove si può fare di tutto, sperando solo di capitare in quello con l'impiegato un po' più simpatico.
L'impressione - stiamo sempre parlando di luoghi comuni - è che oggi le poste abbiano interesse a fare tutt'altro che recapitare con ordine e velocità la posta spedita, impegnandosi in attività commerciali più redditizie che la tradizionale consegna a domicilio di lettere, pacchi e cartoline.
Altri quei tempi in cui, nei giorni estivi, dal solo ufficio postale di Cortina partivano oltre dodicimila cartoline, e altri quei tempi in cui il lavoro del postino aveva un carattere quasi poetico, legato ai rapporti umani e alla conoscenza capillare di ogni abitazione del paese.
La memoria non tradisce uno dei portalettere più anziani e conosciuti del paese, Oreste Lacedelli «Iacantone» - classe 1929 - quando ricorda il gruppo dei postini al lavoro nel 1948 prima che lui iniziasse il servizio:
Romedio Lacedelli «Iacantone» (suo padre), Serafino Pompanin
«de Checo», Angelo Menardi
«Grosfouro», Vincenzo Collazuol, Raffaele Caldara «Partel
», Francesco (Cuto) Menardi
«Merscia», Ivo Majoni «Boto».
Maestro de Posta, cioè direttore, era Giuseppe Degregorio, seguito da Vito Delfauro.
Ai postini in attivo nei primi decenni del secolo succedettero diversi loro figli: Oreste Lacedelli, appunto, Guido Pompanin «de Checo» (figlio di Serafino), Giulio Menardi «Grosfouro» (figlio di Angelo), Giulio Caldara «Partel» (figlio di Raffaele).
Di questa discendenza di figli d'arte rimane ancora in servizio Sisto Caldara «Partel» (figlio di Giulio), per sviluppare quasi un secolo di servizio della sua famiglia a favore delle poste.
Fra le memorie di quei tempi, a Oreste piace ricordare che il lavoro veniva svolto sempre a piedi, da un capo all'altro della valle, in tutte le stagioni e con tutti i tempi. Lungi a venire era ancora la comodità delle auto, quando il padre Romedio saliva un giorno al Falzarego e un giorno a Cimabanche per consegnare e ritirare la posta in transito, in bicicletta quando le strade lo permettevano, altrimenti in liośa.
Nomi di postini ampezzani conosciuti da tutto il paese emergono nei vivi ricordi dell'anziano portalettere quando parla di Mario Bigontina «Cuco», Guido Zardini Lacedelli «Sgneco
», Renzo Dadié «Bechin», Francesco Menardi «Merscia» e Riccardo De Santa, sorridendo ai vari aneddoti che gli stessi raccontavano sul loro lavoro, o che Oreste ha sentito parlando con la gente. La sua zona era circa quella del Sestiere di Azzon, che percorreva a piedi partendo dall'ufficio postale, dopo aver smistato e preparato i pesanti sacchi che ogni giorno trascinava con sé.
Di tanto in tanto si fermava in qualche casa, trattenuto per un caffè o qualche bevanda calda, e ricambiando il favore, quando serviva, con il recapito di posta fatto direttamente da lui senza che le persone dovessero scendere in centro ad imbucare le lettere.
Dopo trentasette anni di servizio, senza mancare dal lavoro nemmeno un giorno - così ci assicura - nel 1985 Oreste ha lasciato il suo impiego, continuando però a svolgere vari incarichi di recapito a domicilio per le varie associazioni del paese, comprese le Regole.
Negli anni si erano succeduti altri postini, quando nel 1971 iniziò a lavorare per le poste Cesare Dipol «Molina», scontando la gavetta con l'esperienza di Cuto «Merscia» (chiamato «il nonno») e di Oreste Lacedelli, gente di poche parole e di gesti essenziali, dai quali Cesare ha imparato il mestiere.
Egli ricorda la stanchezza delle sue gambe alla sera del primo giorno di lavoro, quando si coricò pensando che non sarebbe riuscito a fare la stessa strada anche l'indomani. E invece lo fece, e lavorò con passione per le strade e le case di Cortina fino al 2006, quando ha lasciato il servizio dopo trentacinque anni di servizio.
Maestro de Posta, per molti di quei lunghi anni, fu il cav. Giuseppe Valerio, ricordato con affetto dai colleghi per la carica umana e la sua serietà nel lavoro.
Come molti dei vecchi portalettere, anche Cesare è conosciuto e amato da tutti, sempre capace com'è di una battuta o di un complimento, allegro ma assai preciso e pignolo nel suo lavoro.
Parlare con lui di quei tempi neanche troppo remoti, in cui il lavoro era tanto ma la gente aveva più tempo per scambiare due parole, gli accende lo sguardo e lo porta a raccontare una serie interminabile di episodi e memorie, come quando un giovane portalettere di primo pelo, venuto da fuori, fu mandato in bicicletta verso il Falzarego: il ragazzo doveva recapitare una lettera alla casa del Magistrato delle Acque (da ra Nona), e per fargli capire il percorso lo hanno fatto salire fino al passo, solo per poi farlo scendere di nuovo verso Cortina e recapitare la raccomandata un chilometro e mezzo più in basso, senza risparmiargli l'inutile fatica.
Ricorda con affetto il collega Mario «Cuco», che al mattino esordiva sempre con la frase «Bondi bona śente, ce ben che ve ciato», oppure il simpatico postino romano Antonio Nuciotti, che dopo la sua prima nevicata disse: «Oggi c'e la neva e non vado a Pocol». E molte altre ancora ne racconta, il buon Cesare, velando il suo parlare con un po' di nostalgia e di rammarico, osservando come in pochi anni siano cambiate molte cose nel servizio postale, e secondo lui non in meglio, con un amore per il lavoro che oggi fatica a manifestarsi.
Negli anni in cui ha lavorato non c'erano ancora tutti i volantinaggi e le pubblicità di oggi e, nonostante questo, la mole di posta era quasi cinque volte quella odierna, da smistare e consegnare con la massima velocità, giorno dopo giorno, con un pacco di lettere in mano e una borsa di dodici chili sulle spalle.