Questa relazione ha la finalità di illustrare le valenze ambientali e naturalistiche della Piana di Campo di Sotto, a Cortina d’Ampezzo, per evidenziare la loro UNICITÀ, non soltanto a livello vallivo, ma anche provinciale e regionale, e sottolineare altresì le FRAGILITÀ di questo particolare ambiente.
Tali fragilità sono dovute all’insita sensibilità dell’habitat naturale, in particolare per la presenza di specie in via di estinzione (su base regionale), sensibili ad ogni tipo di manomissione, sia in relazione alle dinamiche idrogeologiche, che sono alla base dell’unicità del mosaico di habitat. Ogni intervento di natura infrastrutturale, quindi, altererebbe irreversibilmente i delicati equilibri, giustificando, al contrario, la storica ed unica destinazione ad attività agricola.
Questo documento non ha quindi la veste ufficiale di una valutazione di impatto o di incidenza ambientale, non essendo ancora chiari i dettagli di eventuali progettazioni esecutive gravanti sull’area, né se esse possano avere carattere temporaneo o definitivo. Molti altri strumenti giuridici di osservazione e ricorso sono a disposizione dei cittadini, anche se una eventuale gestione commissariale potrebbe facilmente neutralizzarli.
Il presente contributo si pone comunque l’obiettivo di rendere coscienti l’opinione pubblica e i decisori dei valori ambientali che vengono posti in gioco e della loro non-replicabilità e ripristinabilità, a maggior ragione in tempi di severo cambiamento climatico come gli attuali. Si auspica che sarà in tal modo possibile valutare con maggiore RESPONSABILITÀ siti alternativi alla piana di Campo di Sotto per eventuali infrastrutturazioni, e darne una più obiettiva ponderazione nelle eventuali analisi costi-benefici di futuri progetti che dovessero compromettere questo prezioso paesaggio naturale/agricolo del fondovalle ampezzano. Il cosiddetto “capitale naturale” (espressione esplicita e sia pure non felicissima delle conclusioni della recente COP15) non è, infatti, monetizzabile.
L’attuale Piana di Campo ha una chiara origine post-glaciale, derivante dal prosciugamento di un antico lago di sbarramento, venutosi a creare a monte della grande e complessa frana di scivolamento del colle di Zuel/San Rocco (evento parossistico per rock avalange), il cui punto di ostruzione sul fondovalle si trovava appena sotto la confluenza delle valli del Boite e della Costeana, i due principali bacini idrografici ampezzani, in località Socus.
Al termine dell’ultima glaciazione, il venir meno della pressione del ghiacciaio della Valle del Boite sui versanti incassanti, per suo progressivo ritiro, ha determinato il prolasso di vaste porzioni di versanti laterali, una delle quali, scivolata dal Monte Faloria, ha causato la formazione di un bacino lacustre di sbarramento, durato per alcuni millenni. Il tempo necessario affinché nel bacino si depositassero sedimenti limoso-argillosi, che hanno impermeabilizzato il fondo della depressione. Lo spessore dei sedimenti di fondo, seppur variabile da un punto all’altro della piana, ha una potenza media superiore ai 10 metri ed è a sua volta ricoperto, ad intervalli irregolari, da ulteriori e modesti sovralluvionamenti limosi e in parte sabbiosi, derivanti dalle occasionali e successive piene dei torrenti Boite e Costeana.
La situazione pedologica venutasi a creare dopo il prosciugamento del lago è stata quella di un terreno quasi perfettamente pianeggiante e relativamente fertile, in quanto poggiante su terreni ricchi e umidi, adatti soprattutto alla praticoltura da foraggio, più che a campi arativi o, tutt’al più, a campi con aratura superficiale, vista la prossimità della falda acquifera.
Nel tempo si è creata, quindi, una cotica erbosa a zolla continua, per lo più coltivata a foraggio e occasionalmente pascolata in autunno, fin dai primi insediamenti agricoli stabili nella valle di Ampezzo, La pratica agricola secolare dei proprietari terrieri, condotta a basso impatto, con concimazioni regolari, ma mai abbondanti e liquide, e con uno o due sfalci annuali, ha portato alla formazione di un sistema di prateria estremamente ricco di biodiversità.
Nei fondovalle alpini, tali condizioni si verificano soprattutto nelle grandi vallate glaciali a fondo pianeggiante, ma in ambito dolomitico costituiscono quasi un unicum (assieme alla piana alluvionale di Palus San Marco - Stabiziane, in sinistra idrografica dell’Ansiei), sia per la situazione geomorfologica, sia per il prolungarsi di una gestione agricola a basso impatto, protrattasi inalterata per secoli.
Nelle valli centroalpine, quantunque più vocate a questo tipo di habitat di prateria per geomorfologia e clima, la gestione agricola intensiva, con intense e frequenti concimazioni, con la costipazione dei terreni dovuta all’uso di mezzi agricoli pesanti e con l’effettuazione di 3-4 sfalci annuali anche sopra i 1200 metri di quota, ha quasi del tutto compromesso la qualità degli stessi sulla maggior parte dell’Arco Alpino. La Piana di Campo si è invece mantenuta in un ottimo e quasi incredibile stato di conservazione prossimo-naturale.
La classificazione europea (nel sistema di Natura 2000) degli habitat di prateria porta a ricondurre i prati di Campo ad un mosaico fra i due seguenti tipi.
6410 – PRATERIE CON MOLINIA SU TERRENI CALCAREI, TORBOSI O ARGILLOSO-LIMOSI
6510 – PRATERIE MAGRE DA FIENO CON SANGUISORBA OFFICINALIS
Ambedue le categorie sono caratterizzate da sfalci sporadici, ma regolari e, soprattutto, ritardati, concimazioni occasionali e solide e notevole ricchezza di biodiversità in termini di specie floristiche, anche mellifere, e di insetti, in particolare lepidotteri (farfalle), ortotteri (cavallette) e imenotteri (api e vespe). Dal punto di vista bioclimatico, si trovano per lo più in aree di fondovalle subpianeggianti, con falda acquifera superficiale, terreni imbevuti d’acqua per gran parte dell’anno, clima continentale e, a quote compatibili, permanenza piuttosto prolungata della copertura nevosa. Oltre tutto le comunità riferibili a 6410, quanto meno a livello locale e in tutte le Alpi sui versanti meridionali, potrebbero essere valutate di interesse prioritario. E anche quelle di 6510 appaiono in sensibile regresso, come risulta dai report (richiesti ai paesi membri della UE ogni sei anni) inviati alle competenti autorità comunitarie.
Le specie vegetali inscritte nella Red List del Veneto censite nei prati di Campo sono almeno 8: Anchusa officinalis (VU), Cardamine pratensis (CR), Carex hartmanii (CR), Galium boreale (VU), Inula salicina (NT), Sanguisorba officinalis (EN), Scorzonera humilis (NT), Thalictrum simplex (NT) tutte intolleranti alle concimazioni intensive (eutrofizzazione) e al prosciugamento della falda acquifera ipodermica. Fra le specie animali, vanno annoverate in particolare l’averla piccola (Lanius collurio), il cardellino (Carduelis carduelis) e il rarissimo Re di quaglie (Crex crex) (EN).
Un breve commento a margine meritano la rosacea Sanguisorba officinalis, ritenuta a rischio di estinzione in Veneto (EN) e particolarmente abbondante nella Piana di Campo, dove occupa certamente la stazione più consistente e ben conservata della Regione del Veneto, stazioni che si contano comunque sulle dita di una mano; si cita inoltre il Re di quaglie (Crex crex), specie compresa nell’Allegato II della Direttiva Europea Uccelli, che nidifica in mezzo all’erba alta; la specie è fortemente minacciata in quanto legata a praterie che vengono falciate sempre più in anticipo rispetto alla maturazione dei foraggi, le cui covate vengono falcidiate da barre meccaniche sempre più grandi e su superfici molto estese, che non consentono più alla specie di trovare zone-rifugio in piccoli appezzamenti prativi, sfalciati a mosaico e a fasi alterne rispetto ad altre superfici contermini. Rispetto ai monitoraggi dell’ultimo decennio, il Re di quaglie ha manifestato ovunque una recente e grave riduzione delle popolazioni e delle nidificazioni e corre reale rischio di estinzione a livello nazionale. Nella Piana di Campo se ne riscontrano ancora nidificazioni sporadiche ad anni alterni.
Vale la pena ricordare che, al di là della citata ricchezza naturalistica, il valore paesaggistico di questi singolari 25-30 ettari di prati pianeggianti è sempre stato riconosciuto, finora, da tutte le pregresse pianificazioni territoriali del Comune di Cortina d’Ampezzo, le quali non hanno mai considerato forme di uso del territorio diverse da quella agricola per questo settore del paesaggio di fondovalle; una delle più vaste e non-frammentate praterie della Regina delle Dolomiti.
Il margine esterno della piana, posto a ridosso della sponda destra idrografica del Boite, ovviamente poggiante su sedimenti detritici e più drenanti, ha tutt’al più avuto una destinazione turistica stagionale e temporanea a campeggio, la quale non sarebbe stata compatibile con i settori centrali della piana, se non a prezzo di devastanti canalizzazioni (pseudo-bonifiche) e derivazioni idriche, nonché di consistenti depositi di materiale drenante.
Qualora un habitat come quello descritto fosse manomesso a fini abitativi, anche temporanei, richiederebbe movimenti di terra, siano essi di scavo o di riporto, che altererebbero in maniera irreversibile il tipo di cotica erbosa quivi insediatosi nei secoli e costantemente mantenuto ad opera dell’uomo.
Nel caso di riporti di materiale inerte, per quanto drenante e non inquinato, finalizzato all’innalzamento dell’attuale piano di campagna, eventuali ripristini produrrebbero solamente una copertura erbacea verde, ma certamente non gli habitat 6410 e 6150, con la biodiversità ad essi correlata, i quali impiegherebbero secoli a sostituire la copertura fittizia ottenuta con inerbimenti artificiali e, con gli attuali regimi pluviometrici, a prezzo di consistenti e costanti irrigazioni.
Nel caso di riporti di materiale impermeabile, con conseguenti impaludamenti in stagioni non invernali, si riprenderebbe da zero il processo di colonizzazione postglaciale, durato millenni e certamente non definibile come un serio “ripristino ambientale”.
Nel caso, invece, un eventuale insediamento si stabilisse direttamente sulla prateria esistente, esso richiederebbe inevitabili scavi di canalizzazioni e sottofondazioni, i quali, oltre a frammentare la cotica erbosa, altererebbero irrimediabilmente il regime idrologico ipodermico di una siffatta piana alluvionale. La falda freatica della piana di Campo è soggetta a ordinarie oscillazioni stagionali di livello, è molto superficiale e si colloca mediamente a 1,30/1,50 metri di profondità dal piano di campagna.
Problemi di falde acquifere superficiali e di eventuali esondazioni dei corsi d’acqua contigui alle piane alluvionali sono stati risolti in tutte le pianure urbanizzate del mondo con grandi opere di regimazione, contenimento e deviazione, ma certamente al prezzo del completo annientamento degli habitat agricoli preesistenti. In ogni caso si tratterebbe di ricorrere a consistenti investimenti finanziari.
È questa una delle ragioni principali per le quali, al di là di possibili interessi urbanistici pregressi, non solo turistici, ma anche ad esempio, artigianali, nella piana di Campo l’uso del suolo non si è mai spinto oltre l’agricoltura superficiale da foraggio od oltre il campeggio estivo con attendamento.
La differenza con la ex depressione palustre di Pian da Lago, seppure in parte paragonabile per contesto ecologico, è certamente riconducibile alla straordinaria preminenza paesaggistica della piana di Campo nel contesto della conca ampezzana e alla sua notevole integrità e visibilità, soprattutto dalla strada di accesso al paese da sud.
Se, anche considerando la presente analisi ambientale, il piatto della bilancia dovesse pendere dalla parte dell’occupazione della piana e della sua alterazione, che per ora si sostiene essere solamente temporanea, si prenda comunque atto della non riproducibilità degli habitat e della qualità naturalistica e paesaggistica di questo luogo unico e del grande sacrificio che l’ambiente e il paesaggio ampezzani ne subirebbero in maniera irrimediabile.
Il concetto di temporaneità dell’insediamento è infatti COMUNQUE INCOMPATIBILE con la inalterabilità definitiva dell’habitat e della sua funzionalità e recupero, vista la impossibilità di posare fuori terra eventuali cavidotti e/o acquedotti e scarichi e vista la impossibilità di sovraccaricare i suoli con pesi e volumi assolutamente insostenibili dall’attuale assetto del suolo e delle cotiche vegetali soprastanti.
Dottore Forestale Michele Da Pozzo