Era il 31 ottobre 1900 quando Giovanni Ghedina (1876-1950) della famiglia Crepo, inoltrava la domanda d'impiego alla Magnifica comunità d'Ampezzo. Dopo le scuole popolari aveva frequentato per tre anni le superiori, durante i quali aveva appreso anche il tedesco, prima lingua ufficiale della monarchia; inoltre era reduce da tre anni di servizio militare, a Vienna nella banda del 3° reggimento Cacciatori Tirolesi. Ciò favorì l'assunzione, giacché il Comune aveva bisogno di qualcuno che fosse in grado di istruire e dirigere la "Società volontaria della banda musicale d'Ampezzo", perché Andrea Constantini, il mitico Dea Zima, aveva appena chiesto d'essere sollevato per ragioni d'età. Perciò Ghedina venne assunto come segretario comunale con un salario iniziale di 800 corone l'anno; quando un chilo di manzo costava corone 1,80;il pane 0,60; la polenta 0,35; le patate 0,11; dodici uova una corona esatta.
Di fatto l'amministrazione del comune d' Ampezzo è stata nelle sue mani dal 1900 fino agli Venti del secolo scorso; prima della guerra all'ombra dei sindaci Agostino Demai Belìn, negoziante, e Luigi Dimai Fileno, contadino in seguito, in mezzo alle turbolenze belliche sino all'avvento del fascismo. Per questo periodo anche le sorti della banda sono state tutelate dalla sua bacchetta. Il 20 maggio 1915, tre giorni prima dello scoppio delle ostilità, Ghedina veniva richiamato a Vienna, donde sarebbe ritornato a casa soltanto nel novembre 1917, cioè dopo Caporetto, quando Ampezzo, occupato per quasi tre anni dall'esercito italiano, non era più lo stesso. Tutti gli uomini validi erano lontani nei vari fronti di guerra o profughi in Italia, fra loro anche il sindaco Demai. Così gli venne ordinato di restarvi per mandare avanti l'amministrazione. Furono dodici mesi di spasimo, svolgendo compiti che non sarebbero stati di sua competenza, sostituendo il tesoriere, gli assessori e pure il preside del Fondo dei poveri, funzione determinante con tante famiglie ridotte quasi all'inedia. In pratica egli resse da solo il Comune, con capacità e coraggio. Per prima cosa Ghedina riuscì a ricuperare alcuni anziani, rimasti a casa per l'età, e con loro ricostituì una parvenza di consiglio comunale. Fra le prime deliberazioni ci fu il ricupero delle armi e degli esplosivi abbandonati dal regio esercito italiano, che già avevano provocato disgrazie fra i ragazzi. Per secondo dovette pensare ai bisogni dei reparti austriaci di passaggio per Ampezzo, stretti nelle morse di una insopportabile carestia, ancorché di ritorno dal fronte del Piave. Infine sulle sue spalle restò la popolazione priva di tutto,sempre barcamenandosi fra le autorità che avrebbero voluto punire gli Ampezzani rei, secondo loro, di aver fraternizzato con i soldati italiani.
LA FACCIO SPEDIRE IN TRINCEA
A completare le difficoltà dei tempi già tristi di per sé il governo centrale aveva rispedito a Cortina un capitano distrettuale, tal Kreussel, che, subito, si fece conoscere per il carattere ottuso. Ma il paese non era più quello di quattro anni avanti. Inoltre c'era in corso la guerra devastante. Andò a finire che il Segretario, il quale si rifiutava di angariare i suoi concittadini già provati a sufficienza, si beccò le minacce dal funzionario. "Stia ben attento, perché ancora in giornata, la faccio spedire in trincea!" Da ottobre 1917 a novembre 1918, egli tenne un diario dettagliato la cui lettura fa rattristare. Vi appaiono assieme gesti di coraggio e prove di rara vigliaccheria; uomini e donne generose contrapposte a persone inette, in un crescendo che si concluse con l'arrivo definitivo degli italiani.
Non era peraltro ancora il momento per Giovanni Ghedina di tirare i remi in barca. Soprattutto c'era il problema della banda musicale, un tempo così vivace ed ora ridotta a poco più di un nome. Molti componenti morti o dispersi, gli strumenti finiti chissà dove. D'intesa con il vecchio Arcangelo D'Andrea, già dirigente della società nonché suo mentore ed amico, decise di gettarsi ancora una volta alla sua ricostruzione, scoprendo nell'istruzione dei giovani alla musica il vero rifugio dei tempi difficili. Dalla moglie Maria Gaspari non aveva avuto figli, né poteva dedicarsi a diversivi particolari perché non aveva mai coltivato sport. Come dipendente comunale sotto il nuovo governo italiano non poteva infine attendersi soddisfazioni.
Se ne accorse quando per poter continuare a svolgere le funzioni di segretario, che peraltro continuava ad esercitare, gli venne chiesto di documentare i titoli di studio richiesti in Italia per quella mansione. Ovviamente non li aveva! Nel 1923 il prefetto di Belluno inviò un funzionario, tale Ariosto Bonon da Cavarzere, un brav'uomo che aveva sì le carte a posto ma non sapeva assolutamente nulla della contabilità amministrativa di questo paese, da poco entrato a far parte del regno d'Italia. Ghedina venne così retrocesso a impiegato, con automatica riduzione dello stipendio, e con il non gradito compito di porsi al suo servizio.
DA SEGRETARIO A IMPIEGATO!
Non bastava! Quando, poco dopo con l'avvento del fascismo, cominciò il valzer dei podestà, Ghedina, cresciuto in un mondo di ordinaria onestà aliena da furbizie e assolutamente non disponibile ai compromessi, fu visto come il fumo negli occhi.
I soprusi crebbero di giorno in giorno. Nel 1926 fu accusato persino d'essere stato, nei suoi anni giovanili, fedele servitore dell'Austria! Soltanto nel 1940, al termine del processo ad un impiegato disonesto nel quale era stato ingiustamente coinvolto, ebbe la completa reintegrazione nei suoi diritti. Era troppo tardi perché ne provasse piacere. Quel periodo difficile aveva spento in lui ogni entusiasmo per quella politica che così male aveva ripagato la sua dedizione professionale. Visse gli ultimi anni estraniato dagli affari pubblici interessandosi unicamente della banda musicale, dov'era accolto con rispetto ed amore. Frequentava i vecchi amici scambiando con loro i ricordi. Si rifugiava nella soffitta colma di carte, fotografie, diari, corrispondenza di ogni tipo, cartoline, dediche dalle tante personalità che aveva servito e conosciuto, la principessa Stefania vedova di Rodolfo d'Asburgo, la contessa Bury ideatrice dell'ospedale, Anna Powers Potts, cacciatrice americana, nobili russi, prelati irlandesi, diplomatici, finanzieri tutti abituali frequentatori della Cortina dei tempi felici. (Il materiale prezioso è scomparso, purtroppo, in un incendio che ha distrutto la casa a Majon, pochi anni or sono!).
Giovanni Ghedina,il popolare Zane Crepo, è' morto nel 1950, a settantaquattro anni, ed il suo nome attende ancora che lo si annoveri fra i benemeriti non soltanto della banda d'Ampezzo ma dell'intera comunità.