“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza” (H.D. Thoreau)
    

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“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza” (H.D. Thoreau)

Barbara Fabjan

26/09/2022

I boschi di cui tutti noi oggi apprezziamo soprattutto lo straordinario valore estetico e paesaggistico, tanto da metterci in autunno alla ricerca degli spettacolari effetti del “feuillage”, costituivano un tempo la principale risorsa degli abitanti della montagna.

L’importanza strategica di questo patrimonio si rendeva evidente nel fatto che le aree boschive venivano spesso considerate proprietà collettiva delle comunità, proprio come accadeva, e ancora accade, in Ampezzo dove gli abitanti sono detti padroni di tutte le foreste della valle fin dallo Statuto cadorino del 1338.

Il legname tratto dal bosco serviva innanzitutto ai fabbisogni interni delle famiglie locali cui forniva legna da ardere, materiale da rifabbrico, lettiere, arredo di ogni genere e tipo. Ma almeno dal 1400 il legno fu poi anche commercializzato e venduto per finanziare opere pubbliche, acquistare grano e sale per la popolazione, ed infine distribuire denaro ai capofamiglia.

Al di là di questo utilizzo immediato, però, era scolpito nella consapevolezza della gente di montagna il valore oggi diremmo “ecologico” delle zone boscate. Argine contro le avversità climatiche, protezione dei versanti montani da erosioni e frane, capacità di assorbimento e smaltimento delle acque, consolidamento di masse di terra smossa, riparo per il bestiame da pascolo, queste le virtù apprezzate del bosco, che portarono nel tempo anche alla istituzione delle “vizze”, cioè di zone protette dal taglio, documentate nei loro confini da antichi e preziosi documenti di “vizzazione”. Si capisce così come la gestione dei boschi fosse materia delicata e complessa, riservata alla comunità attraverso la Regola di fondovalle, che si occupava del taglio e della commercializzazione del legname in tutti i suoi aspetti e si preoccupava della formazione delle squadre dei boscaioli, dando così lavoro a buona parte della popolazione locale.

E’ così che i boschi, a saperli leggere, riflettono la storia delle popolazioni che li hanno posseduti. “Laddove il possesso è stato di tipo comunitario, come in Ampezzo, Cadore e Comelico e l’utilizzazione è stata di tipo estensivo e puntiforme si è instaurato nei secoli un equilibrio uomo-natura che ha consentito alle foreste di raggiungere livelli massimi di stabilità e produttività” (Dal bosco a ra sia. Il bosco ampezzano tra storia e tradizione, Cortina d’Ampezzo, s.d., p.12). E’ questo un equilibrio dal quale noi oggi avremmo davvero molto da imparare.

Ma anche l’Austria e la Repubblica di Venezia seppero produrre in materia forestale una legislazione illuminata, cosicché i boschi delle Alpi orientali sono a tutt’oggi fra i più belli e ricchi d’Europa.

In Ampezzo la “sapienza del bosco” si riflette nella ricchezza dei termini dialettali dedicati al mondo delle piante, dei lavori forestali, della varietà degli attrezzi impiegati, in un processo di affinamento e di consuetudine durato per secoli. Anche la toponomastica della valle reca le tracce di una frequentazione e conoscenza del territorio tramandata per generazioni e fattasi infine parola verde (Pezié de Parù, Lariéto, Costalàres…).

A metà ‘800 il forte aumento demografico provocò a Cortina una crescita del consumo di legna per le necessità interne e contemporaneamente si accrebbe la domanda esterna dei mercanti veneti a causa del depauperamento delle foreste bellunesi e cadorine. Fu il momento del massimo sfruttamento per i boschi d’Ampezzo.

Si decise allora di procedere alla redazione dei primi piani forestali, “riconoscendo che il patrimonio boschivo era una riserva vitale per gli ampezzani e che non si poteva rischiare di comprometterlo come era già avvenuto in altri territori” (ibidem, p. 17). Il primo piano reca la data 1887 e come i successivi ha alla base il principio che la massa legnosa prelevata da una particella non deve essere mai superiore al suo incremento.

In Ampezzo la “sapienza del bosco” si riflette nella ricchezza dei termini dialettali dedicati al mondo delle piante, dei lavori forestali, della varietà degli attrezzi impiegati, in un processo di affinamento e di consuetudine durato per secoli. Anche la toponomastica della valle reca le tracce di una frequentazione e conoscenza del territorio tramandata per generazioni e fattasi infine parola verde (Pezié de Parù, Lariéto, Costalàres…).

A metà ‘800 il forte aumento demografico provocò a Cortina una crescita del consumo di legna per le necessità interne e contemporaneamente si accrebbe la domanda esterna dei mercanti veneti a causa del depauperamento delle foreste bellunesi e cadorine. Fu il momento del massimo sfruttamento per i boschi d’Ampezzo.

Si decise allora di procedere alla redazione dei primi piani forestali, “riconoscendo che il patrimonio boschivo era una riserva vitale per gli ampezzani e che non si poteva rischiare di comprometterlo come era già avvenuto in altri territori” (ibidem, p. 17). Il primo piano reca la data 1887 e come i successivi ha alla base il principio che la massa legnosa prelevata da una particella non deve essere mai superiore al suo incremento.

Questa attenta pianificazione però non poté in nessun modo arginare le furiose devastazioni provocate dalla Prima guerra mondiale, quando circa 2500 ettari di bosco, il 40% di tutta la massa legnosa e il 20% della superficie forestale, furono distrutti per le necessità belliche soprattutto alle alte quote, con tagli a raso. Decine di anni ci sono voluti per recuperare il patrimonio legnoso di inizio secolo, anche tenendo conto degli schianti provocati da eventi naturali come la grande frana delle Cinque Torri, che ha inghiottito in un sol colpo circa 7000 mc di legname.

Nel frattempo l’economia della montagna grazie al turismo stava cambiando radicalmente e nella seconda metà del ‘900 un nuovo fattore ha influito vistosamente sullo sviluppo dei boschi ampezzani, cioè l’abbandono del pascolo e dello sfalcio dei prati. Basta guardare le vecchie foto di Cortina per rendersi conto di quanto gli alberi abbiano guadagnato terreno e siano scesi verso il fondovalle. Si calcola che l’aumento della superficie boscata, tra alte e basse quote, sia stato di ben 800-900 ettari!

Buona notizia per le sfide odierne, se si pensa che le foreste sono il nostro principale serbatoio di accumulo di CO2 ed anche preziosa riserva di biodiversità. E’ tempo allora di una nuova amicizia ed alleanza con il bosco, che non lasci cadere la sapienza del passato e la riproponga in forme rinnovate per tramandare questo patrimonio alle prossime generazioni. Una selvicoltura sempre più naturalistica, volta a mimare i processi che regolano questi ecosistemi, deve continuare a praticare una gestione forestale capace di esaltarne la multifunzionalità. Bisogna preservare la valenza economica del legno e degli altri prodotti del bosco; promuovere il legname per sostituire i materiali di costruzione a più alto impatto ecologico ed anche, seppure in parte, le fonti energetiche fossili; mantenere la biodiversità; tutelare il ruolo paesaggistico e soprattutto quello protettivo dei versanti.

Ma la sfida più urgente adesso è anche quella di sostenere i boschi nella loro silenziosa lotta quotidiana contro il climate change, una vera e propria lotta per la sopravvivenza.