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ZORAN MUSIC A CORTINA

Edoardo Pompanin

01/04/2009

Custodi avvedute e preziose dei beni naturali della Valle d'Ampezzo, le Regole ne sono anche il palpitante cuore artistico: perché il Museo d'Arte Moderna donato dal collezionista Mario Rimoldi costituisce per gli amanti dell'arte un punto imprescindibile di riferimento.

Dopo la mostra delle pitture di Alis Cabessa Levi, curata con amore e competenza dal prof. Renato Balsamo, direttore del Museo e squisito pittore egli stesso, e dalla triestina Federica Luser, esperta d'arte, ecco ora fiorire, come un giardino di immagini, la mostra «Anton Zoran Music a Cortina - Il ciclo naturalistico della vita», che resterà aperta tutti i pomeriggi, escluso il lunedì, nella sala a piano terra delle Regole d'Ampezzo, sino al 14 aprile 2009, dalle ore 16.00 alle 19.30. Per l'occasione, come tutti sanno, è stato pubblicato un delizioso libretto da «Il Ramo d'Oro editore in Trieste», presentato con garbo da Gabrio Ghedina, presidente del Rotary Club Cadore di Cortina d'Ampezzo.

Renato Balsamo nel suo intervento ricorda Music «come una persona tranquilla e distesa, un gran signore della vecchia Europa che alternava la sua vita tra Venezia e Parigi… Fu un uomo che riuscì ad attraversare la vita senza clamore, pur rimanendone segnato irreparabilmente durante quei terribili giorni vissuti nel campo di concentramento di Dachau…».

«Zoran Music - scrive Maurizio Zanei - a Cortina era di casa….

Tra i monti della valle ampezzana egli amava trascorrere le vacanze, durante le quali non smetteva di dipingere». Nei suoi «Cavallini» Zanei vede «il più alto punto di partenza del suo percorso artistico... Esprimono la libertà riconquistata dopo Dachau... Con essi traspone in una dimensione mitica i valori in cui si riconosce il senso di libertà e di felicità ritrovata e la consapevolezza del passaggio in questa unica vita, uniti a una serena visione di pace e perciò di giustizia... Egli li inserisce in una realtà primigenia e arcaica, lontano dalle bassezze della cronaca del tempo e forgiata su un proprio modello originale, vicino alla più alta tradizione artistica europea». In questo senso i Cavallini di Music rivestono un carattere scottante di attualità: perché «rappresentano l'emozione per un mondo diverso da quello vissuto, fatto di guerra e di orrori…». Seguendolo, infine, nei suoi ritorni alle montagne dolomitiche «per cui sentiva la fisiologica e connessa necessità di percorrerle a piedi, possibilmente da solo», Zanei ripropone le sue visioni «di rocce che emergono trionfatrici al di sopra di candidi anelli di nuvole». Nel mondo ampezzano, insomma, «il suo ritrovato entusiasmo artistico gli consente di produrre disegni, acquetinte e puntesecche in cui la delicatezza, la sensibilità dell'artista raggiungono il sublime in una grande interpretazione poetica».

«Si alza all'alba - scrive Hervé Bordas - come una marea di fumo si arrampica ai pendíi, per lasciare le cime scoperte, sospese nell'aria, bagnate d'oro, più vicino al cielo che all'uomo. In questi momenti l'artista solitario, anche lui distante dall'umanità, si raccoglie in contemplazione davanti a questa natura, come il personaggio di Gaspar David Friedrich di fronte alle montagne: viandante che osserva dall'alto il mare di nebbia, l'artista testimone muto dei primi giorni del creato, esponendo la sua anima, svolge per noi un ruolo di tramite, inducendoci a considerare l'ascensione come il primo passo verso l'ascetismo spirituale».

Chiara, infine, organica e penetrante la biografia interiore dell'Artista che Daniele D'Anza ha ricostruito da par suo, alternando al racconto delle vicende di Music una precisa, coinvolgente interpretazione dei tre motivi fondamentali della raccolta pittorica proposta dall'affascinante libretto: i «cavallini», i «fiori», le «montagne» prigioniere di magiche corone di nubi.

«Una visione fiabesca - scrive il D'Anza - e un nomadismo dell'anima sostengono questi «Cavallini» dalle gambe troppo sottili e variamente colorati, che procedono in un lento ed eterno fluire; forme che sembrano affiorare timidamente sulla tela, appositamente trattata per lasciare emergere l'ordito sottostante, conseguenza di una preparazione del supporto che ben si confà a questa poetica… Una pittura ritrosa e silente, che potrebbe apparire facile, ma così non è. La sua invece è malinconia della vita che diventa malinconia della pittura e si esprime non certo tramite sofisticati funambolismi grafici, ma tendendo all'essenziale, riuscendo così a carpire quella semplicità elementare che supera l'individuo per identificarsi con la realtà di ognuno».

Per quanto riguarda il motivo dei «Fiori», il D'Anza osserva tra l'altro: «Sembra che Music penetri lentamente l'ambiente ampezzano, consolidando nel tempo una visione della realtà circostante che germoglia, prorompente, negli anni Sessanta nel ciclo conosciuto come «Fiori a Cortina». E' un'esplosione di vitalità espressa mediante un segno vibratile e palpitante, che sfoggia tonalità accese, intramezzate da tocchi lilla e viola».

Dai «Fiori», infine, il passaggio ai «paesaggi rocciosi»: giacché, osserva accuratamente il D'Anza, la produzione di Music si sviluppa per cicli. Si tratta della «tensione vitalistica di una natura intesa in senso gioioso» e perciò l'Artista passa a un certo punto ai Paesaggi rocciosi che «quietano tale spinta.

Non vi è più moto, ma stasi, e il segno stesso appare più controllato. Sono massi caduti, frammenti di una montagna in parte disgregatasi… Congerie di lapidi, pietre tombali che una lettura simbolica potrebbe considerare lo spirito pietrificato degli antenati, di quei moribondi, tragicamente evocati qualche anno prima nel ciclo «Non siamo gli ultimi», ricordo e riflessione dei tremendi giorni di Dachau».

Un libretto, insomma, questo su Music, che non si sa se apprezzare maggiormente per la scelta e le riproduzioni delle opere d'arte o per i commenti interpretativi che rivelano una comprensione profonda delle Verità che il grande Artista ha inteso trasmetterci.