Il barancio è come una murena. Sta lì sotto la neve pronto a sbucare quando meno te lo aspetti e ti azzanna alla gamba. Ti sgambetta e tu ti trovi a terra senza capire il perché. La murena si comporta allo stesso modo. Sta lì nella sua tana e quando vede la vittima salta fuori all’improvviso e sinuosamente fa sua la preda.
In questo strano inverno che volge al termine, in questa stagione nella quale sono andate in overbooking solo le contraddizioni c’è forse qualcosa su cui soffermarsi.
La montagna, naturalmente innevata come un tempo, ha sì respirato senza l’assalto agli impianti di risalita, ma senza di essi il nostro sistema non può reggere.
Tutte le dolorose chiusure hanno fatto perdere posti di lavoro fondamentali per la sopravvivenza della gente di montagna in montagna.
Però chi invece viene in montagna “solo” per sciare ed è riuscito a raggiungerci ha finalmente scoperto la montagna.
Basta pensare che l’alpe di Faloria (un tempo si chiamava così) è diventata una ambita meta scialpinistica. Intendiamoci: un conto è fare scialpinismo inteso come salire e scendere una montagna con difficoltà alpinistiche ed intuizioni di navigazione. Un altro conto è risalire le piste per poi ridiscenderle.
Ad ogni modo un dato è certo: quest’anno a Cortina d’Ampezzo si sono vendute più pelli di foca che pellicce.
Con questo slow ski abbiamo avuto modo di riscoprire in maniera diversa e autentica angoli e scorci di questo magnifico territorio.
Un passo indietro rispetto alle sciate mordi e fuggi; lo ski pass ha lasciato spazio allo skin pass e lo sci è tornato ai suoi fasti primordiali.
Lo sci, in fin dei conti, è nato ben prima della religione cristiana, sopravviverà anche a quest’anno balordo come noi sopravviveremo ai baranci che si stanno affacciando al sole mentre la neve inesorabilmente si scioglie.