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Settecento per venticinque

Paolo Tassi

13/04/2020

700 metri di sviluppo, 25 metri di dislivello. Questi sono i numeri della mia gita attorno a casa che ripetuta per n. volte fa un numero impressionante. Per chi, viziato come il sottoscritto, è abituato a vivere il globo terrestre senza preoccuparsi minimamente dell’esistenza di barriere e limiti, essere confinati in un raggio d’azione è frustrante. Allo stesso tempo mi consolo, perché la consapevolezza di essere comunque privilegiato rispetto a chi è circondato dal cemento rende questa quarantena meno amara.

Di questi 700 metri ormai conosco ogni larice, ogni singola radice, quasi tutti i sassi, ed ora comincio ad avere confidenza con l’erba verde che cresce pian piano. Lungo il tracciato incontro qualche vicino che saluto sempre volentieri. Da che mondo e mondo la gente che s’incontra in montagna si saluta, adesso meno calorosamente di prima, ma sempre ci si saluta!  

Capitano però degli episodi quantomeno singolari. Già da lontano due persone che si vengono incontro si cominciano a studiare: da che parte si metterà? Come facciamo ad evitarci? Di dove sarà questa persona?

L’ altro giorno, al metro 235 del mio personale percorso da criceto, ho visto una mia vicina che sbigottita, aveva incontrato due persone. Queste erano sconosciute a lei ma gentilmente (come si usa in montagna) ha cercato di avvertirle di un potenziale pericolo: un recente passaggio di una pattuglia delle Forze dell’ordine.  Anche se si è nei limiti previsti ci si sente un po’ contrabbandieri, più ladri che guardie nonostante ci si muova nei limiti imposti dalla legalità. Queste persone, anziché ringraziare o salutare come da antica educazione, le hanno risposto a malo modo di farsi gli affari propri! Già i rapporti umani adesso sono freddi e distaccati, forse non è il momento di farsi nuove amicizie…

Proseguendo il cammino, al metro 349, incontro sempre un sacchetto di nylon che contiene escrementi. Mi ricordo che quando mi sono imbattuto la prima volta in questo sacchetto blu forse fumava ancora, c’era la neve ed io ho immaginato ingenuamente che poi qualcuno sarebbe tornato a raccoglierlo. Passano i giorni, passano i giri e quel sacchetto ermetico è ancora lì. Adesso posa sull’erba. Una volta, mi avevano raccontato, che questi sacchetti sono biodegradabili ed è un buon gesto raccogliere la cacca del cane e sigillarla. Ci avevo quasi creduto. E’ passato un mese dal mio primo incontro con quell’escremento. E’ ancora lì. Di biodegradabile non c’è neanche il gesto di chi lo ha lasciato lì.

Proseguendo il mio percorso a zig zag, al metro 476, quasi in cima, incontro un letterato intento a leggere un libro che narra il racconto di un escursionista inglese che vede Cortina per la prima volta. Brevemente mi espone i contenuti del libro, tra i quali il difficile rapporto tra gli abitanti di Cortina d’Ampezzo e i visitatori. Frasi fatte e risentite con accuse di stampo medioevale dalle quali non sembra facile distanziarsi. Facciamo parte di una società che ha puntato ad una crescita economica rivolta verso l’infinito trascurando educazione e rapporti personali slegati da interessi parsimoniosi. Master su master negli angoli più remoti del mondo. Il mondo social che misura le nostre emozioni con i like degli altri. Forse non abbiamo imbroccato la strada giusta.

Saluto il lettore e salgo gli ultimi metri del mio giro quando, al metro 508, vedo gettata a terra una sagoma bianca. Penso ad un fazzoletto, la tocco col piede (son generalmente curioso ed adesso ho il tempo per approfondire qualsiasi cosa). La giro: è una mascherina! Ieri non c’era. Chi può averla buttata? Una mascherina di questi tempi vale moltissimo. Noi ne abbiamo 4 in casa. Valgono una spesa, un’emergenza, un incontro con le maestre. Una mascherina vale moltissimo. Vorrei raccoglierla, farla provare a tutti i vicini come fece il Principe per trovare Cenerentola con la scarpetta. Già, ma in quella favola c’era un lieto fine, in questo caso non saprei proprio. Forse chi l’ha gettata aveva già fatto la spesa e ottimisticamente ha pensato che i decreti fossero finiti. O forse era semplicemente decretino.

Scendo verso casa, 192 metri di discesa con 25 metri di dislivello negativo. Roba da far male alle unghie dei piedi in questi tempi. Altro che scendere dal Giussani!  Vedo da “lontano” i nostri vicini, sono qua da febbraio. Secondo me resteranno qua anche dopo. Pensate a tornare in una città: qual  genere di diffidenza ci sarà tra esseri umani. Ci salutiamo, ci frequenteremo. Adesso non è ancora il momento.

Sono quasi al traguardo. Mi sembra di essere stato via un mese. Mi vengono incontro i bambini. Mi bacia mia moglie. Il dirimpettaio mi offre un bicchiere di vino. C’è ancora vita, c’è ancora speranza per i rapporti interpersonali. Sono curioso del nostro domani.