Per evitare lo spopolamento, le genti di montagna devono poter avere opportunità pari a quelle delle genti di pianura in tema di servizi pubblici, scuola/formazione, sanità (gli abitanti dell’alta valle del Piave devono fare dai 100 ai 270 km per usufruire della maggioranza delle prestazioni erogate dall’ULSS di appartenenza); trasporti pubblici efficienti, assistenza agli anziani, perequazioni per il maggior costo della vita, sostegno per la difesa del suolo (i tre quarti delle aree franose dell’intera regione si trovano nel Bellunese) e nel rispetto dell’incontestabile pregio ambientale (metà del territorio provinciale è classificato Zona di Protezione Speciale e metà delle Dolomiti patrimonio Unesco sono contenute nei confini bellunesi).
Di certo gli abitanti delle terre alte non sentono il bisogno di trasformare le loro strette e fragili valli in un corridoio di traffico su gomma nell’interesse delle lobby del cemento e della finanza ma non certamente di questa provincia e dei territori che dovranno sopportarne le conseguenze. Sentono invece la necessità di avere maggior peso politico a loro tutela, e questo non può dipendere esclusivamente dalla demografia, ma deve tener conto delle specificità della montagna, del suo patrimonio storico e culturale, delle tante sue potenzialità e, non ultimo, della sua importanza come presidio a difesa e protezione della pianura.
L’unità delle popolazioni di queste periferie va posta come obiettivo, per raggiungere una massa contrattuale che sostenga la ricerca di soluzioni alle criticità menzionate e contrasti le ricorrenti iniziative che, come “lo sfondamento a nord”, sono a servizio di interessi estranei che danneggiano e indeboliscono le comunità su cui vengono calate. Occorre cambiare registro o, come affermiamo da anni, occorre muoversi “Per altre strade“.