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L'INTERVISTA ... ROLLY MARCHI

Patrizia Serra

01/01/2010
È stato ferito gravemente durante la Seconda Guerra Mondiale, ha rischiato di cadere da una parete rocciosa insieme al suo compagno di cordata che penzolava nel vuoto, ha avuto un brutto incidente in macchina tre anni fa che gli ha causato danni permanenti alla vista, ma una vista perfetta da morto non gli sarebbe servita a niente, quindi è andata bene (ipse dixit!). È un uomo fortunato Rolly Marchi, 88 anni e l'entusiasmo per la vita di un bambino. Uno sportivo amante della montagna, figlio delle Dolomiti, le radici a Trento e il cuore a Cortina. Si potrebbe definirlo in tanti modi, ma lui si definisce semplicemente un uomo libero.E fortunato anche, ma proprio perché ha saputo gestire la dea bendata senza rinunciare alla sua libertà. Forse per questo è sempre stato un vulcano di idee, molte delle quali passate alla storia. È stato fotografo, giornalista, scrittore, editore e molto altro ancora.Non è facile contenere in un'intervista di poche pagine l'essenza di Rolly Marchi, ma speriamo di darvene almeno un'idea.

Sport, amore e amicizia sembrano essere i punti cardine della sua vita. Le sue prime passioni sportive furono lo sci e il ciclismo.
Ho messo gli sci per la prima volta nel 1933, poi mi appassionai anche al ciclismo. Ho fatto due anni di gare ed ero piuttosto bravo, ma avrei potuto avere più successo se fossi nato, che ne so, a Rovigo o comunque in pianura, ma in Trentino ogni gara che si faceva aveva una salita dentro, io ero troppo alto e in salita non rendevo. Nonostante questo, nelle gare arrivavo sempre tra i primi tre-quattro, a parte una nella quale arrivai primo. Nell'ultima gara della mia vita arrivai terzo, poi feci una brutta caduta.

E alla sua prima caduta seria con relativo trauma cranico Sua mamma Le regalò la bicicletta e così si diede all'atletica.
Sì, ho fatto atletica leggera per due anni, poi ci fu la Guerra.

La Seconda Guerra Mondiale sembra un avvenimento tanto lontano nel tempo, ma Lei ha ancora le cicatrici a ricordarLe che fu tutto drammaticamente reale.
Nel 1941 feci il corso per allievi ufficiali e per la mia statura finii nei Granatieri di Sardegna. Parlavo bene il tedesco e inizialmente mi tennero a Roma per fare da interprete con gli ufficiali tedeschi. Dopo una parentesi relativamente tranquilla in Jugoslavia, nel luglio 1943 mi mandarono in Sicilia alla vigilia dello sbarco degli Alleati per quella che doveva essere una sorta di missione lampo, invece fui ferito gravemente e creduto morto. Dopo le prime cure mi spedirono in Tunisia insieme agli altri prigionieri e lì rimasi sino al 1944, quando fui mandato a Napoli. Qui tra le varie cose ebbi una prima sorpresa: un caffè costava 80 lire, io ero rimasto a 50 centesimi, così delle 178 lire che avevo conservato e nascosto durante tutta la prigionia, mi rimase ben poco.

Ma la sua buona stella la aiutò…
Indossavo ancora la divisa grigioverde da prigioniero e mi fermai davanti a un bellissimo negozio di abbigliamento pensando a quanto mi sarebbe piaciuto vestirmi di nuovo da civile. Il proprietario mi vide, riconobbe la divisa, mi fece accomodare e mi vestì da capo a piedi: un paio di mocassini, tre di calzini, due camicie e un completo di gabardine, dicendomi che l'avrei potuto pagare quando fossi rientrato a Trento e così fu.

Anche la Guerra in qualche modo fu la causa di uno dei Suoi primi viaggi a Cortina.
Sì, dalle ferite riportate in Sicilia guarii definitivamente soltanto nel 1951 quando venni operato nell'ospedale di Cortina.

Dopo la Guerra cosa fece?
Prima avevo fatto soltanto in tempo a iscrivermi in giurisprudenza a Bologna, così dopo la Guerra mi rimisi a studiare, ma fondai anche la scuola di sci del Bondone stipulando un accordo con i Comandi Alleati che ogni settimana mandavano una settantina di militari a godersi un po' di vacanza in montagna. Dopo la laurea avrei potuto fare l'avvocato a Trento. Allora non ce n'erano tanti e i maggiori Studi della città mi avrebbero voluto con loro. Ma a me non piaceva l'idea di avere un superiore al quale obbedire e così decisi di andare a Milano. Facevo l'agente assicurativo, lavoro che mi aveva permesso subito di aprire uno studio fotografico nella città meneghina e contemporaneamente continuare a scrivere i miei articoli. Durante l'università avevo conosciuto Gianni Brera e tramite lui avevo cominciato a scrivere per la Gazzetta dello Sport.

Quante Olimpiadi invernali ha visto?
La prima la vidi da spettatore nel 1936, quando mio padre mi portò a Garmisch Partenkirchen, in Germania. Da cronista, la prima fu quella di Saint Moritz nel 1948. Da allora in poi le ho seguite tutte, tant'è vero che nel 1994 a Lillehammer avevano voluto fare una piccola premiazione per i giornalisti presenti anche alle Olimpiadi di Oslo del 1952 ed eravamo soltanto in due, io e uno spagnolo. Io però sono l'unico che non ne ha mancata nemmeno una. Mi ricordo che alle Olimpiadi di Oslo potevo seguire gli sciatori con gli sci e in alcune foto mi vedo dietro Zeno Colò a cantare l'inno.

E ovviamente seguì anche le Olimpiadi del '56 a Cortina.
Certamente, ed ero anche lo speaker ufficiale. All'epoca non c'erano i tabelloni luminosi che ti fanno leggere i tempi anche coi centesimi, quindi ero io a comunicare i tempi al microfono, dopo che dalle piste me li comunicavano per telefono. Sulla tribuna c'erano alcuni alpini con tanti cartelloni con i singoli numeri e quando io davo i tempi loro li issavano in modo che li vedessero tutti. Ogni tanto si sentiva: «mona, mi hai dato il 6 e io ti ho detto 9» e di rimando «mona a chi, giralo no?»

Tra le sue varie attività ricordiamo l'ideazione di due trofei, 3Tre e Trofeo di Topolino.
Il primo 3Tre risale al 1950, si trattava della prima gara al mondo che riuniva tre specialità: discesa, slalom e slalom gigante, su Paganella, Serrada e Bondone. Il primo Trofeo di Topolino si svolse a Courmayeur nel 1958 e vide la partecipazione di 92 bambini. Negli anni successivi toccò a Trento, Cortina (1960), Cervinia e Madonna di Campiglio. Poi l'organizzazione divenne così imponente, i bambini erano ormai circa 400 per ogni edizione, che si decise di scegliere una sede fissa.

Centinaia di bambini che si divertivano e anche tanti futuri campioni.
Sì, non sarebbe giusto ricordarne solo alcuni, ma mi viene in mente un aneddoto su Alberto Tomba.
Lui partecipò al Trofeo Topolino senza grandi risultati. Perché, come altri bambini, diventò più forte dopo. Allora avevo ideato la categoria Aspiranti che faceva da trait d'union con quella degli Juniores.
Tomba esplose verso i 16 anni, proprio nella categoria Aspiranti. Io in quel periodo cominciai una collaborazione con il Resto del Carlino di Bologna e nel mio primo articolo menzionai questo giovanissimo sciatore dicendo che aveva un grande futuro e fornendo anche una foto del promettente campione. Ma in redazione non diedero grande peso alle mie previsioni, concentrandosi invece sull'aspetto funereo del cognome, e anziché mettere la foto di Tomba ne misero una mia. Poi dovettero ricredersi.

Nella sua lunga carriera, ha visto tanti campioni in erba, anche fuori dal Trofeo Topolino.
Oh sì, mi ricordo di Kristian Ghedina da bambino. Sua mamma, non sbagliando, immaginava che avesse la stoffa del campione, così mi chiese di andare a vederlo in occasione della sua primissima gara. La facevano vicino all'hotel Corona, erano venti porte. Il piccolo Kristian aveva circa sei anni ed era pronto alla partenza. La cara Adriana per incitarlo cominciò a gridare «Kristian, Kristian», al che lui si fermò, si avvicinò preoccupato alla mamma e le disse: «ce vosto mare?». Così non vinse quella gara, ma dopo ha avuto modo di vincerne tante.

Il successo del Trofeo Topolino fu così grande che si mosse Walt Disney in persona.
Walt Disney lo conobbi nel '60, dopo che avevo organizzato tre Trofei di Topolino. Arnoldo Mondadori, all'epoca editore di Topolino per l'Italia, aveva capito che le potenzialità erano enormi, fino ad allora non si erano mai visti 300 bambini tutti insieme per fare le gare di sci, e scrisse a Walt Disney che così volle conoscermi. Pensa che l'unico rimpianto della mia vita è non aver potuto realizzare i progetti che avevamo in mente insieme a Walt Disney. L'idea era quella di creare un grande villaggio vacanze-parco divertimenti sulla neve che si sarebbe chiamato Topolinia e in Italia sarebbe stato il primo. Ma si era a settembre del 1966 e lui morì improvvisamente a dicembre, così tutto si fermò.

Un vero peccato. Quelli della mia generazione, dai 40 anni in su diciamo, si ricordano ancora la sua foto col cappello da cowboy sulle pagine di Topolino.
Quel cappello me lo regalò proprio Walt Disney e tra i bambini dell'epoca in effetti ero molto famoso grazie a Topolino, tant'è vero che al centro del villaggio in questione Disney voleva mettere un monumento. Io pensavo un monumento a Topolino o Paperino, invece lui intendeva a me, perché diceva che i monumenti da morti non servono a niente!

Parliamo del suo rapporto ultradecennale con Cortina: quando venne qui per la prima volta?
La prima volta in assoluto fu nel 1936, in vacanza con i miei genitori.A quell'epoca si usava fare il tour delle Dolomiti in macchina, chi non l'aveva la noleggiava, come mio padre. Si partiva da Trento e passando da Ora, Predazzo, Passo Pordoi e Passo Falzarego si arrivava a Cortina dove si pernottava. Il giorno dopo si rientrava a Trento passando però dalla Val Gardena.
Poi tornai a Cortina in occasione dei Mondiali del 1941 per fare compagnia a un mio caro amico, Sem Bonetti, che gareggiava. Vista la defezione di molte squadre a causa della Guerra, quelle gare non vennero poi riconosciute come Mondiali. Dopo la Guerra mi è capitato di venire a Cortina diverse volte perché si facevano molte gare e io le commentavo per la Gazzetta dello Sport. Una volta ricordo che realizzarono i Campionati Italiani Universitari ed Eugenio Monti fece la gara di sci di fondo.

Cortina è stata anche la cornice ideale di una sua grande amicizia, quella con Dino Buzzati.
Un grande scrittore e pittore, ma anche un grande uomo e un vero amante della montagna. Ricordo che ai primi di agosto del 1971 partii da Milano per Cortina e mi fermai a casa sua a Belluno, volevo convincerlo a venire a Cortina con me, ma lui non se la sentiva, era troppo debole diceva.
Invece all'inizio di settembre cambiò idea, disse che non poteva non vedere per l'ultima volta le montagne di Cortina e venne qui per una settimana. Morì pochi mesi dopo, nel gennaio 1972. Se ho scritto i miei libri è stato anche perché Buzzati lesse il manoscritto del mio primo romanzo, Le mani dure, e mi incoraggiò a continuare.

Perché costruì la sua casa a Cortina e non, per esempio, a Madonna di Campiglio?
Cortina è uno dei posti di montagna più fortunati al mondo, perché una conca così è difficile trovarla. Una valle si può anche trovare, ma questa non è solo una valle, è un salotto gigante, c'è un clima straordinario, è bello stare qui. In realtà Madonna di Campiglio era l'idea originaria. Con mia moglie e i miei figli ancora piccoli decidemmo di trascorrere un'estate lì per cercare casa, anzi mi avrebbero regalato anche il terreno, ma fu un'estate bruttissima, fredda e piovosa. Lo prendemmo come un segno del destino e decidemmo che non era il posto per noi. Poi un grande albergo mi propose una consulenza a Courmayeur, offrendomi anche ospitalità sia in estate che in inverno. Andammo lì per quattro anni e c'era anche la possibilità di prendere casa, ma il posto non ci ispirava, non era certo bello come Cortina. Così decisi di cercare casa qui ed eravamo a metà degli anni Sessanta. E negli ultimi 45 anni non sono mai mancato.

È di questi giorni la polemica per i manifesti con le montagne di Madonna di Campiglio per promuovere i Mondiali di sci a Cortina.
(ride) Io non so come sia potuta succedere una cosa del genere! Normalmente un'agenzia che fa un lavoro del genere poi lo fa vedere al committente per l'approvazione, qualcuno avrà pur approvato. È una cosa talmente eccessiva che ha dell'incredibile.
Fosse stata una montagna sola, che so, confondere il Campanile di Val Montanaia con il Campanile Basso, tanto per dire, ma tutta la Catena…

Le Dolomiti sono diventate Patrimonio dell'Umanità. Possiamo dire finalmente?
Non proprio, perché è stato un anno nefasto sia per le tragedie, sia per le morti naturali di alcuni amici della montagna. Prima la frana a Borca, poi il mio amico Giuliano De Marchi è caduto sull'Antelao, poi l'elicottero del Suem. E poi sono morti Bibi Ghedina, Lino Lacedelli, lo sciatore Toni Sailer che partecipò anche alle Olimpiadi del '56. Insomma, le Dolomiti non hanno certo consacrato l'evento in modo generoso. Non credo alla scalogna, però che sfortunate coincidenze. Certo adesso c'è il riconoscimento, ma si dovrebbe in qualche modo valorizzare, altrimenti resta un'etichetta messa lì e basta.

Ha avuto una vita intensa e ricca di avvenimenti, amore e amicizia. Lei pensa di essere un uomo fortunato?
La mia fortuna è stata che io ho scelto la libertà e l'ho saputa gestire per tutta la vita. Sono riuscito a restare sempre un uomo libero e questa è stata la mia forza.

Scheda tecnica

Nome: Rolly Marchi
Età: 88 anni (classe 1921)
Professione: uomo libero
Titolo di studio: laurea in giurisprudenza
Hobby (praticati fino a poco tempo fa): sci, ciclismo, atletica, alpinismo
Libro sul comodino: purtroppo dopo l'incidente non posso più leggere, perchè vedo poco, devo usare una lente e leggo solo brevi articoli