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I GIORNI DELL'ATTESA

Ennio Rossignoli

27/05/2017
L'attesa, il momento in cui si sospendono le emozioni, e i pensieri assumono l'incerto colore del futuro: migliore, peggiore o incardinato in un presente che non vuole saperne di scomporsi.

Come che sia, di fronte all'incertezza il rifugio è di solito il passato, in cui prendono corpo e luce tempi, cose, uomini lontani, fantasmi che popolano gli spazi della memoria intenerita dalla lontananza.

Confortante ma pericoloso nella misura in cui distoglie dalla realtà che incombe e che oggi pretende la presenza pronta e attiva  dei suoi interpreti.

Tutto questo ci riporta a Cortina. Infatti qui si aspetta, e da tanto: si aspetta il ritorno a una normalità che rimetta al suo posto una amministrazione del riordino e del rilancio, capace di assumersi il pesante fardello del ripristino di una funzionalità che sia al passo dei tempi e della loro complessità.

Si aspetta quella panacea di tutti i mali che dovranno essere i Mondiali marcati Benetton, si aspettano il campo di golf , la piscina, la palestra di roccia, la fine della storia infinita dei parcheggi interrati.

Così aspettando il pensiero corre fatalmente ai tempi  della Cortina del bob mondiale, dell'ippica sulla neve, della Hollywood sul Boite, di quando per il Corso passeggiava l'èlite della politica e della cultura nazionali, e non solo: allora la Conca era come l'ombelico del mondo ed esserci, per poco o per molto, costituiva il passaggio necessario a qualsiasi onorificenza sociale.

Erano o sembravano i migliori anni della nostra vita. Ma il mondo era diverso e altre erano la voglia, la possibilità, la maniera stessa di fare vacanza: si sa che il rimpianto gioca facilmente lo scherzo – brutto, bello? - della riverniciatura di un passato che spesso non la meriterebbe.

Accade anche per i ricordi di Cortina? Può darsi, tuttavia non sempre i confronti si risolvono in sterili operazioni a ritroso, possono invece fornire modelli di comportamento, idee utili al passo della modernità.

Non sempre “rottamare” il passato serve al presente: la parola è brutta e talora lo è pure il suo significato. Vale per tutti, per  chi è giovane e per chi non lo è più.