«Il 30 aprile il Codivilla chiude. ULSS e Regione Veneto dicono che lo riapriranno garantendo: 1) un pronto soccorso di classe B, dove le ambulanze non arriveranno ma ti porteranno a Pieve, e se ci vai tu ti stabilizzeranno e poi verrai spedito a Pieve; 2) ci saranno dei poliambulatori, forse nemmeno la fisioterapia. Questo senza parlare delle oscene proposte fatte al personale dipendente. Il 30 aprile si sta organizzando un presidio presso il Codivilla. Se non lo sapevi adesso lo sai; puoi decidere se ringraziare la Regione Veneto e l'ULSS oppure se aiutare te stesso e Cortina dando man forte a chi sarà a presidiare il Codivilla. Il tempo è scaduto, ci lasciano senza ospedale, continuiamo a chinare il la testa? Mandalo a tutti quelli che puoi».
Questo il testo del messaggio che è cominciato oggi a rimbalzare dapprima sula pagina Facebook del gruppo “Non
sei di Cortina se...” e subito dopo sui cellulari di ampezani e non.
L’iniziativa si sta diffondendo a raffica; ora che la dead line si sta avvicinando gli ampezzani cominciano a realizzare che la comunità presto potrebbe essere veramente privata del proprio ospedale.
Nei giorni scorsi anche tra i dipendenti del Codivilla Putti stava girando l’idea di presidiare l'ospedale il giorno 30 aprile. I dipendenti, da parte loro, hanno pure rifiutato l’accordo che i sindacati avevano fatto il giorno 13 aprile con l'assessore alla Sanità Luca Coletto. Un accordo che era comunque saltato, in quanto solamente CISL e UIL l’avevano firmato, mentre la CGL no.
«Quell'accordo non vogliamo farlo – spiega Maria Lucia Cella, direttrice amministrativa del Codivilla – perché non è una tutela per i dipendenti. Non vogliamo fare il passaggio alla società interinale, per poi fare il concorso pubblico, al quale può partecipare chiunque, e quindi potrebbero essere assunte altre persone, e non le stesse che oggi lavorano al Codivilla».
Inoltre, spiega ancora Cella, non tutti potrebbero partecipare al concorso, in quanto i dipendenti non appartenenti all’Unione Europea ne sarebbero automaticamente esclusi. «Si tratta in alcuni casi di famiglie, marito e moglie che lavorano con noi, cui la società ha concesso l’appartamento a prezzo agevolato, che potrebbero rimanere senza lavoro».
Le richieste dei dipendenti, appoggiati dalla Giomi con il ricorso al tribunale civile di Belluno, sono di avere un contratto a tempo indeterminato con le stesse condizioni attuali.