Anno nuovo: c'è ancora tempo per gli auguri, anzitutto quelli - scontati - che parlano di pace, di felicità, di gioie del cuore e del conto in banca. Il futuro? Diceva Rilke che entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima di essere accaduto: solo che noi non lo sappiamo e lo mettiamo tra le eventualità, i propositi, i progetti, e così gli diamo forma già nel presente. E poi non c'è un solo futuro. C'è quello della politica, al momento piuttosto tempestoso, e quello del lavoro, sul quale gravano le pesanti incognite della crisi; c'è il futuro dei nuovi poveri e quello dei soliti scandalosamente ricchi. Il futuro di ciascuno di noi e quello che ci attende tutti insieme; il futuro lontano, avvolto nelle nebbie profetiche, e quello vicino, saldamente ancorato alle strategie della ragione. E poiché questa rubrichetta tornerà solo dopo la grande sbornia vacanziera, resta fuori il futuro turistico più immediato della Cortina natalizia. Non resta invece fuori quello della normalità che continua a scorrere nella bella storia della regina dolomitica: cosa augurarsi - e augurarle - dentro di essa? In primo luogo che certi auspici diventino realtà, ossia che, per esempio, le faraoniche infrastrutture pensate per risolvere i problemi del traffico, lascino il posto a soluzioni più praticabili e meno impattanti; o che le nuove importanti presenze alberghiere aiutino il rilancio di un prestigio un po' ossidato nel tempo. O che la modestia, il rispetto «laico» delle opinioni guidi sempre il passo dei protagonisti della vita pubblica e privata, e il Comune cessi di essere un luogo di transito per scontenti e scontentezze, con l'inevitabile strascico delle polemiche che, al di là delle ragioni, lasciano comunque un sapore amaro nelle bocche dei cittadini. E infine, che la gloriosa squadra di Hockey riprenda il suo ruolo storico e la smetta di fare troppe volte il fanalino di coda! Forse è chiedere troppo, ma se no, che auguri sarebbero?