Ha scritto Emilio Cecchi che l'arte viene meglio un po' di nascosto: me ne sono ricordato mentre mi arrampicavo fino a quella specola dell'anima contemplativa che era lo studio di Balsamo.
La stretta scala di una antica casa d'Ampezzo, una manciata di gradini e il mondo era subito un altro, trasformato con una semplice magia nel luogo borgesiano delle realtà visibili.
Alte finestre aperte sulla natura, una luce che pareva venire dal di dentro, dalle tele poggiate dappertutto, tra i libri, gli oggetti, i pensieri d'artista. Intorno un sentore incerto di legno, di colori, di polvere: polvere di storia che non si toglie perché l'uomo “è” la sua storia. Lì lavorava il pittore degli ulivi, stravolte strutture antropomorfiche, piegate a emblema di una condizione inedita, reinventata, transnaturale.
E lì lavorava il pittore del paesaggio dolomitico, dolomite d'alpe e dolomite dell'ardua costiera mediterranea: un'arte nella quale l'esasperata precisione del segno diveniva lo strumento per spingersi sino all'estrema purezza dell'evidenza, epifania di un assoluto della forma. Come nei famosi ritratti, dove la maniacale coerenza fisionomica sposta il significato della sfera del simbolo, per dire, il Riccardo Muti icona del Grande Direttore.
Dopo anni di amicizia, di giudizi sul suo lavoro filtrati dalle opinioni degli specialisti, l'ho ritrovato nella privilegiata condizione di colui che vive il momento dell'arte come la manifestazione fenomenica dello spirito del mondo, immerso in una corrente di energia vitale, antidoto alle ansie e strumento per scoprire il mistero che vincola l'uomo all'universo. Ho ritrovato l'artista lungo il suo cammino di cercatore della forma , con la quale fermare – ma solo provvisoriamente – in un frammento di realtà tutta la realtà; oggi la sua ricerca si è fatta stile, cifra estetica subito riconoscibile: un uomo arrivato là dove si incontrano i grandi visionari, al termine del suo arduo viaggio dentro la coscienza.
Magnifiche compagne le Dolomiti, non una catena di montagne che partecipa al paesaggio, ma poderosi oggetti solitari, da contemplare e conoscere per sé: una pittura della terra generante e inquieta, solide immagini e pulsazioni segrete, evidenza e mistero, antinomie risolte nella unicità di una sintesi vitale. Montagne perfette, perché Balsamo non improvvisa la natura, la studia devotamente fino a trasportarla nello spazio smisurato del mito: ed è come se esse volessero esprimere un loro segreto, che gli uomini possono intuire, ma che solo il pittore – e il poeta – saprà raccontare.
Ne ho parlato con lui, e mentre scendevo per quella stretta scala d'Ampezzo, rigiravo i miei pensieri sui sensi segreti dell'arte, sulla irrisorietà delle convinzioni formali, sull'ultrasensibile come valore.
Un'arte interpretata al di là dell'arte. Balsamo, la riscoperta di uno spirito libero..