Il clamore che la votazione dell’assemblea dei regolieri d’Ampezzo ha destato, merita qualche considerazione, magari minimamente più approfondita di quanto espresso da importanti rappresentanti del modo femminile, quali la contessa Marta Marzotto o la giurista Daniela Santanchè.
A dette non è il caso di dare importanza alcuna, salvo osservare che preferiscono fregiarsi del cognome del marito, pur se entrambe da tempo non li frequentano.
Anche se la maggioranza dei regolieri è stata additata quale maschilista - per usare espressioni gentili - nella generalista polemica che ne è derivata, è sfuggita la ragione a fondamento della deliberazione tanto vituperata.
E’ certo che i maschi regolieri non sono prevenuti nei confronti del mondo femminile: ma è altrettanto certo che temono di dover sacrificare sull’altare della tanto propugnata parità di genere, il patrimonio.
I regolieri temono, a ragion veduta, che un mutamento del Laudo, anche ove dettato da meritevoli motivazioni quali la doverosa parità tra maschietti e femminucce, finisca per travolgere la stessa istituzione.
Ed invero, ove si adegui l’istituzione ai principi dell’ordinamento - in luogo degli usi antichi e delle consuetudini – si innescherà un’infinita sequenza di nefaste conseguenze: e così se le donne verranno ammesse pur ove mantengano il solo cognome autoctono, immediatamente si negherà il diritto successorio del figlio di padre foresto. Quindi, in un secondo momento, a qualcuno apparirà ovvia la discriminazione e la violazione del diritto ad ereditare, con immediata nuova petizione avente ad oggetto l’estensione dei diritti anche ai figli di foresti.
E poiché di titoli non si vive, seguirà la necessità di omologare l’istituzione alle comunioni ordinarie, come disciplinata dal codice civile, ove l’inalienabilità e l’indivisibilità dei beni risultano un insulto al diritto.
E così andando vi saranno i quotisti, ad esempio, della Regola di Fraina i quali chiederanno di poter disporre dei loro diritti patrimoniali a piacimento: poichè l’indivisibilità come l’inalienabilità risultano retaggi medioevali.
Tanto è il sentire anche di taluni giuristi i quali, come l’avv. Ivone Cacciavillani, si sono affrettati ad affermare che la donna che abbia perso la qualifica di regoliere perchè sposata con un non regoliere, ha assolutamente diritto di essere indennizzata della sua quota di proprietà collettiva, in applicazione della disposizione del Protocollo Primo del CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
Evidente, quindi, che nel momento in cui si tocca una pietra a base della istituzione, si generano conseguenze a catena, il cui finale non è allo stato neppure immaginabile.
Ove il sistema non venga tutelato, tra trent’anni delle Regole avremo uno sbiadito ricordo ed il patrimonio, del quale si disporrà a piacimento, diverrà oggetto di plurimi appetiti e di facile mercimonio.
Ad avviso di chi scrive, per l’effettiva tutela dell’istituzione, si doveva - da tempo – perseverare nella difesa dei caratteri distintivi dell’ente, richiamando la preminenza dei principi costituzionali di cui all’art. 2 della Costituzione ove le Regole risultano tra quelle formazioni sociali ove i cittadini svolgono la loro personalità onde adempiere anche doveri di solidarietà economica e sociale. Per garantire l’effettiva inalienabilità / indivisibilità del patrimonio. Allontanando così i temi della discriminazione di genere che, comunque, potevano trovare altra soluzione.
Operando al contrario, se ritenuto essenziale parificare i diritti tra uomini e donne - evento letto quale una conquista dell’emancipazione femminile - prepariamoci ad un futuro ben diverso, ove all’auspicato aumento dei regolieri, seguirà una proporzionale limitazione dei diritti di comunanza, con la conseguenza che ciascun proprietario in semplice comunione, alla stregua di qualsivoglia privato, vorrà egoisticamente perseguire il massimo profitto.
E così, allora, non avendo più “ra roba”, neppure avremo “ra femenes” (da roba) e neppure i “ome”.
Saremo tutti “cives” cittadini di Roma, con generale ma miope soddisfazione: a chi scrive basta lo status di “peregrinus”, ad indicare l'abitante di una comunità diversa dalla quella Città Eterna che, appunto, è tramontata da due millenni.
Paolo Ghezze
Regoliere peregrinus