Lo è quello che dedica una vita intera a incontrare il mondo senza le mediazioni e gli impacci della convenienza, sempre fermo sulla linea etica del rispetto della verità, se non come conquista – per l'uomo comunque problematica – almeno come obiettivo da perseguire con la forza delle convinzioni oneste e delle responsabilità mai eluse.
Parlare di ciò è un modo per ricordare Alfredo Spampani, appena scomparso e ripetutamente citato come decano di un giornalismo dalla lunga e articolata carriera professionale, vissuta soprattutto tra le risonanze delle vicende della grande Cortina (ma non solo): la regina dello sport e della mondanità elegante in anni oggi relegati negli anfratti della memoria.
Da qualche tempo non lo vedevo più uscire dalla sua auto in guerra con il bastone da passeggio ma inalterato nello spirito arguto e la parola affilata, che avevo imparato a conoscere fin da quando arrivava alla scuola del figlio per conoscerne l'andamento: colloqui brevi su Massimo, alunno impeccabile, ma lunghi sulle cose del piccolo mondo locale, sempre così intrigato da comportamenti sui quali faceva cadere invariabilmente le rasoiate di una analisi lucida e raramente indulgente.
E giornalista vero perché curioso e perché attento ai rumori della vita intorno, che registrò fino all'ultimo, piegato sui tasti della sua vetusta Lettera 22, lui che non aveva voluto consegnare alle suggestioni tecnocratiche il piacere del suo personale rapporto con una cronaca che aveva contribuito per la sua parte a far diventare storia.
Così il momento triste della perdita di un uomo che ha contato tra gli uomini appartiene di certo anzitutto ai famigliari e agli amici, ma non può non riguardare l'intera comunità dei cittadini, ancora una volta privata di un testimone di quella che è stata la generazione felice di un Paese rianimato nella pace e nella libertà.
Per una conferma basterà non dimenticarlo.