Quando agli inizi dell'Ottocento G.W.F. Hegel, il celebre filosofo di Jena, definì la lettura del giornale come la preghiera laica del mattino, non poteva certo immaginare che un giorno sarebbe bastato premere un tasto per vedersi scorrere davanti agli occhi l'intera stampa del mondo.
Sono le meraviglie dell'era digitale, che hanno aperto all'informazione la libertà assoluta di tempo e di luogo, facendo della presa diretta e della simultaneità il primo connotato del rapporto con i fatti.
Ma qualcosa va perduto: come il piacere di sfogliare una pagina dopo l'altra nel rituale di una pausa che si ripete tra le cure della giornata, o addirittura dello stesso sentore forte della carta stampata da poco.
Il giornale è così passato dalle dita a uno schermo, e questo è sicuramente un transito ineludibile nei tempi della globalizzazione internettiana, soprattutto nella cultura e nella pratica della comunicazione on line, alla quale i network hanno dato, nel bene e nel male, un diffusione pressoché illimitata.
È la cultura generazionale, e perciò è impossibile non esserci: lo ha fatto anche il nostro mensile, con uno scarto netto verso il modo più aggiornato di trasmissione dei contenuti.
Una piccola rivoluzione, una scelta coraggiosa, a cui non mancherà il successo: è l'augurio che ci facciamo, magari con una piccola lama di nostalgia per tutti gli anni in cui le “Voci” sono puntualmente finite nelle mani di un popolo di lettori affezionati e sempre numerosi. Che poi sono il numero e l'affetto di tutti i sinceri amatori della verità.