Angelo Dalus, capitano degli Standschützen d'Ampezzo
    

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Angelo Dalus, capitano degli Standschützen d'Ampezzo

Mario Ferruccio Belli

01/12/2014
La donna con la faccia interrogativa reggeva una borsa. Abita qui Angelo Dalus detto Zirio, comandante dei pompieri volontari? Giulietta annuì. «Era pieno inverno. Avevo ventidue anni ed ero a casa dal lavoro, vuol dire che era una domenica. La donna di cui non ricordo il nome vestiva di grigio ed aveva uno scialle nero sulla testa. Aveva preso il trenino apposta per venire su da Vinigo a ringraziare nostro padre. Ma, nelle sue intenzioni, c'erano di sicuro tutti i pompieri volontari di Cortina. Mio padre - chissà dov'era quel giorno? - ce lo aveva raccontato quel disastroso incendio, senza acqua per spegnerlo. Tante case di legno addossate una all'altra. Proprio la notte di Natale del 1941!». Giulietta, la più anziana delle tre figlie di Angelo, conosciuto familiarmente con il soprannome di Zirio, sfogliava l'album con le foto del padre, quasi tutte in divisa di "Standschützen", ripercorrendone la vita. Straordinaria soprattutto perché all'insegna dell'allegria, oltre che del dovere affrontato sempre con decisione. Da vero comandante.

Figlio di Telesforo Dalus, da Pecòl d'Ampezzo, era nato nel 1882 ed è mancato nel 1974. A diciannove anni lo avevano chiamato in servizio militare nei Bersaglieri provinciali, a Bolzano. Essendo stato congedato nel 1906, in anticipo per ragioni di salute, aveva deciso di aprire un suo negozio di parrucchiere in un locale del municipio.

In quella occasione il Comune aveva dato all'i. r. Giudizio distrettuale queste informazioni sul suo conto. «Convive con i genitori e altri cinque fratelli. Gode buonissima fama per una condotta sempre corretta!».
Con la collaborazione della sorella Rosa, nel 1908, aprì così il primo bagno pubblico con negozio di barbiere, a Cortina. E con buon successo,tanto che nel 1913 poté costruire la casetta su due piani di via Grohmann.
Dopo il servizio militare gli era rimasta la passione per la divisa. Infatti diventò presto il vice comandante degli Standschützen d'Ampezzo.

Allo scoppio della guerra contro l'Italia, il suo reparto, composto in gran parte da uomini anziani d'Ampezzo, delle classi non precettate nel 1914, venne di gran fretta richiamato e mandato a presidiare il fronte montano, da Prato Piazza alla Croda dell'Ancona e al Campolongo. Ne aveva il comando Bortolo Alverà Dipol che, causa l'età (66 anni!), fu sostituito dal maggiore Eric Kostner di Corvara, di cui Dalus era il vicecomandante.

Affrontarono due anni e mezzo durissimi, con tanti spostamenti dove la pressione e le artiglierie italiane colpivano di più, soprattutto nelle trincee e nei ricoveri dietro al Col di Lana e sul Pordoi.
Di quel periodo della sua vita non amava parlare. Come tutti i suoi commilitoni i quali, conclusa la guerra, dovettero affrontare il difficile reinserimento negli anni del fascismo. Soltanto quando andato in pensione cominciò a fare lunghe gite con le figlie, Angelo Dalus si fermava, scendeva dall'auto con il binocolo al collo e indicava le montagne dove aveva combattuto. Ricordava uno dopo l'altro tutti i luoghi con particolari e dettagli. «Lassù in quel fortino dietro al Col di Lana eravamo nell'inverno del 1915. Gli italiani ci tiravano da Davedìno, o da Laste di Rocca che era più in alto di quota e dove avevano i grossi calibri.

I nostri osservatori vedevano la fiammata e gridavano l'allarme. Dopo tre/quattro minuti arrivava la granata con un rumore infernale, sollevando un vulcano di sassi e terra …».

Per natura Angelo era un ottimista. Trovato lavoro nella Cooperativa di elettricità, sposò Rosalia Zardini, affascinata dal suo carattere gioviale, dalle barzellette che raccontava a getto continuo, e anche dai baffetti biondi e dal sorriso perenne. La moglie aveva quattro anni meno di lui e, per di più, uno zio sacerdote con la passione della caccia. Angelo condivideva con Prè Zardini Zesta la passione per la caccia, specialmente quella difficile ai galli ed alle pernici di monte.

Quando egli morì ne ereditò le armi che, più tardi, provocarono un bel po' di guai.
C'era persino uno straordinario bastone da passeggio adattato allo sparo. Un capolavoro da museo, giacché solo un esperto avrebbe compreso che sotto le spoglie si celava uno schioppo. Lo ricordava Giulietta con un misto di ironia. «Quando il papà mancò, nel 1974, avremmo dovuto recarci a se-
gnalare le armi che erano bensì denunciate ma, ci informò un gentile ispettore della polizia venuto a trovarci, non bastava. Così essendo noi detentrici di armi senza averne il porto fummo incriminate di banda armata.

Guardi che non scherzo... erano i tempi delle cosiddette brigate rosse. Subimmo un processo. Ci toccò assumere un avvocato che ebbe il suo daffare per farci assolvere con la confisca delle armi. Ci è spiaciuto soprattutto per quel bastone da passeggio così speciale! Povero zio prete, chissà quante passeggiate aveva fatto nei boschi della Val Badia, dov'era parroco c'era tanta selvaggina a portata di tiro!»

Angelo Dalus Zirio era notissimo anche per i trenta anni e più di servizio nei pompieri volontari d'Ampezzo. Quel benemerito Corpo, esistente sin dal 1886, aveva iniziato a comandarlo subito dopo la guerra, quando contava quasi un centinaio di volontari.

Farne parte era un punto d'onore per ogni giovane, tanto era circondato di prestigio.
I Pompieri ampezzani possedevano i mezzi più moderni per i tempi, tutti acquistati con sottoscrizioni, feste di beneficenza e contributi volontari. Avevano una Mercedes capace di quattordici posti e con una pompa potente che fece vincere più di un trofeo, finché non arrivò l'ordine di "versarlo" per un museo di Roma. Naturalmente gli diedero in cambio un altro mezzo ancorché meno prestigioso.

«Passando nei paesi nostro padre rammentava anche dove avevano spento un incendio, fatto un soccorso ardito, soccorso una partoriente portandola a Brunico o forse ad Agordo in mezzo alla neve. Conosceva tutti, era salutato con simpatia. Con molti di loro intratteneva rapporti di amicizia. Educava i giovani alternando la severità del vecchio ufficiale di guerra alle battute di spirito».
Nel momento del bisogno i "ragazzi", come li chiamava, erano ai suoi piedi. Di notte, nel freddo, lontano dal paese. Scalavano al buio i tetti guidati dal bagliore delle fiamme.

L'azione più difficile che avevano affrontato era stata però l'incendio di Vinigo del 1941.
Erano arrivati quando sul posto c'erano già i volontari di Vodo, Borca, San Vito, Venàs e Valle. Le fiamme crepitavano, sui prati attorno al paese ancora privi di neve, la gente si disperava perché mancava l'acqua. Appena arrivato Dalus prese la decisione. Ordinò ai suoi pompieri di estrarre tutte le manichette a disposizione e montarle assieme a quelle dei volontari del Cadore per formare la catena d'acqua fino giù nel Boite! Un'operazione incredibile, mai tentata in quelle condizioni, con tale dislivello, al buio, di notte. Ma con la preziosa acqua pompata acrobaticamente dall'abisso il fuoco venne arrestato.

Giulietta Dalus riandava a quella notte, raccontando la visita della sconosciuta. «Era rimasta un istante perplessa, delusa di non vedere mio padre. Poi aveva proseguito. Il capitano Dalus ha salvato la nostra casa a Vinigo. Sa, noi siamo poveri, ma io sono venuta a portargli questi». E intanto aveva tolto due cappucci dalla sacca che reggeva con le mani.

Quello era il Zirio, un personaggio che ricordiamo ad un secolo di distanza.