In ricordo di: Renzo Arturo Bianconi
    

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In ricordo di: Renzo Arturo Bianconi

01/02/2011
IL RICORDO DELLA CUGINA LAURA
a cura di Nives Milani

Nato a Genova nel 1938, è mancato improvvisamente nei primi giorni di questo nuovo anno, appena dopo l'Epifania, lontano dalla sua città natale e lontano da Cortina d'Ampezzo, dove risiedeva. Nonostante amasse certamente entrambi questi luoghi, però, credo che a lui non importasse veramente dove si trovava. Non era ancorato a luoghi particolari, era cittadino del mondo: ovunque era a casa.
Viaggiava molto, in Italia e all'estero, dove lo portava la sua professione, ma anche un po' il suo spirito vagabondo. Scendeva da un aereo e risaliva su un treno, avvisando spesso solo all'ultimo momento del suo arrivo. La sua presenza era sempre una gioia, rallegrata dai racconti degli aneddoti dell'ultimo viaggio.
Mediati dal suo passato di attore, questi racconti prevedevano sempre l'uso della lingua o del dialetto del posto di cui narrava; il che non solo faceva "couleur locale", ma arrivava a farti credere di trovarti proprio là, di parlare con la signora del mercato sudamericano o con il gondoliere di Venezia. Era veramente un artista: dipingeva, con le sue parole, i boschi o le cime di Cortina, la laguna di Venezia, il mare del litorale ligure. Amava molto anche la natura. Degli amici (ed erano tantissimi, chissà se qualcuno saprà mai quanti) parlava indicandoli con il solo nome di battesimo; nessun cognome, null'altro: per lui bastava.
Una persona era solo una persona, qualunque ne fosse l'estrazione sociale, la nazionalità, la razza, lo stato di salute.
Ha iniziato la sua professione con la recitazione e la danza, per poi passare a dedicarsi a persone che altri considerano meno fortunati, ma che lui considerava solo persone nella loro interezza, pur con le loro particolarità. Con tutti cercava (e riusciva ad ottenere) un contatto.
Pochi, per ragioni di trasferimento e del suo decesso improvviso oltreché imprevedibile, erano presenti al suo funerale, ma sia gli amici che ho conosciuto, di persona o per telefono, in seguito alla sua morte, lo ricordano con grande affetto. Ognuno ha trovato aggettivi diversi per esprimere ciò che era per lui Renzo, ma mi ha particolarmente colpita il prete che ha officiato il funerale. Lo ha definito un giusto, una persona da cui prendere esempio nel rapporto e nella cura che aveva per gli altri.
Sì, lo si potrebbe definire in tanti modi, ma così forse è giusto ricordarlo… "senza confini".
Mi firmo come lui chiamava tutti, con il solo nome di battesimo.

Laura


IL SUO anticonformismo creativo e costruttivo nella terapia con i disabili

Una persona eclettica come Renzo Bianconi non può certo essere conosciuta attraverso un racconto a trama unica. È dunque con l'intento di voler contribuire a molto altro che desidero ricordare ciò che Renzo ha saputo dare nell'ambito della riabilitazione e dell'integrazione sociale delle persone disabili. Ho avuto modo di apprezzarne la sensibilità, l'inesauribile desiderio di sperimentare, la capacità di mantenere un pensiero aperto mai conforme alla norma.
Sono davvero tante le cose che ha fatto (e non sono certo io a conoscerle tutte) da rendere improbabile elencare tutte le persone in difficoltà cui si è dedicato, tutti i luoghi dove ha portato il suo prezioso contributo, tutte le persone che ha formato. Ciò che posso dire è che cosa ha lasciato in eredità a me e a molti miei colleghi: la consapevolezza che l'aiuto alle persone disabili richieda certamente una particolare sensibilità che va coltivata e custodita al riparo da derive fataliste, ma che soprattutto necessiti di uno sguardo aperto a un'estetica della vita che comprenda tutti gli accidenti dell'umano, uno sguardo il più possibile distante da una visione, sempre troppo diffusa, che vorrebbe confinare la realtà in una inconsistente e ottusa geometrica perfezione dei fenomeni, dove il pensiero comune domina gli eventi e chiude tutti gli interrogativi in risposte certe.
La continua ricerca che Renzo ha svolto in tanti anni di attività ci ha regalato l'ipotesi di un metodo di approccio alle cose caratterizzato da una "mente ospitante" tesa ad accogliere il nuovo come il vecchio, l'originale come il banale, utilizzando l'arte come veicolo di conoscenza e di crescita, che fosse musica o danza, letteratura o pittura, o quant'altro si presentasse come possibilità di espressione dell'umano dolore come dell'umano piacere.
Quel suo modo di diffidare del pensiero conforme alla norma e di vivere con un piede nella quotidianità e un piede sul palcoscenico, mantenendo sempre il senso della teatralità nelle vicende complicate come in quelle più ordinarie che la vita propone, lo ha esposto alla difficoltà di farsi comprendere spesso proprio dagli addetti ai lavori, più preoccupati di confermare i propri stereotipi che di accogliere la realtà che li circonda.
Il lavoro di sperimentazione e divulgazione che Renzo ha svolto nell'ambito delle arti terapie è un prezioso contributo per chi si occupa di disabilità proprio perché apre interrogativi e non converge nelle gelide stanze della banalità, ma...transeat...come diceva spesso Renzo quando la situazione richiedeva di prendere un bel respiro e passare oltre.

Lorenzo Zardini