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A cento anni dalla Grande Guerra

Mario Ferruccio Belli

01/06/2014
Giacinto Ghedina nato in Ampezzo del Tirolo nel 1853 aveva avuto dalla moglie Cristina Bellodis, di dodici anni più giovane, sei figli: Michele Basilio (1896), Giuseppe (1898), Agostino (1899), Luigi (1902),Vittoria Maria (1903 e Maria Angela (1907). Sui documenti risultava allevatore, infatti era proprietario di molti prati attorno alla casa di Verocai e anche più su, oltre Chiamulera e Miètres. Perciò, con l'aiuto di servitori della Val Badia, gestiva una stalla affollata di bovini. Nel 1882 teneva un toro abilitato alla monta pubblica e dall'anno seguente 1883 anche uno stallone che il Comune si affrettò a segnalare agli eventuali interessati.

"Magnifica Comunità d'Ampezzo. 8 Aprile 1883 N. 930 Avviso. In seguito a richiesta del proprietario, signor Giacinto Ghedina, si porta a pubblica cognizione degli interessati che lo stallone sarà dato alla pubblica monta solo nelle seguenti ore di ogni giorno ... Si invitano quindi tutti i possessori di cavalle ad uniformarsi a questa disposizione. Il Capo comune".
 
Ma la sua imprenditorialità sociale era ancora più vasta, tanto che venne eletto più volte a Marigo dalla Regola alta di Ambrizzola. Nel 1891 venne eletto anche presidente del Consorzio agrario distrettuale, al quale il Comune aveva concesso la riserva di pesca nel Boite e nei suoi affluenti. Ne aveva poi dato notizia al Capitanato distrettuale; è da quelle comunicazioni ufficiali che si viene a sapere che Giacinto Ghedina de Basilio era anche membro del Consiglio scolastico, assieme agli albergatori Luigi Menardi e Annibale Verzi.

FOTOGRAFO PER CASO


Peraltro la notizia più interessante la troviamo nel 1892, quando ottiene dalle autorità politiche, cioè il Capitano distrettuale, una strana autorizzazione, cioè quella di esercitare l'attività di fotografo. Il primo in Ampezzo! E per farlo aveva costruito un piccolo chiosco su terreno di proprietà, in piazza Pontegél. Il Comune si affrettò a prenderne atto, giacché in un decreto dove lo nominava "capovilla" di Verocai e Grava, lo dichiarò allevatore e fotografo. La spiegazione la fornisce il nipote Gualtiero, figlio di Giuseppe, che racconta di aver sentito in famiglia che il nonno da ragazzo era stato per diverse estati al servizio del barone Rothschild.

È noto che quel ricchissimo banchiere austriaco aveva costruito uno chalet sul passo di Cimabanche, luogo baricentrico per le escursioni nelle Dolomiti che percorreva in carrozza e a volte a cavallo, scattando fotografie. I suoi accompagnatori, fra i quali il giovane Giacinto, gli portavano i bagagli e l'attrezzatura, cioè le macchine fotografiche con il treppiede, le lastre, i teli per creare la camera oscura, eccetera. Materiali ingombranti oltre che pesanti. Ecco sciolto l'arcano.

Da quella frequentazione egli aveva preso la passione per la nuova arte che, in provincia di Belluno era stata introdotta dai fratelli Riva di Calalzo, i quali l'avevano appresa a Vienna. E' da loro che Giacinto si recò per conoscerne i segreti. Ma c'era anche un problema di liquidità. Mancando ancora uno sportello bancario, Giacinto si finanziò prendendo denaro a prestito dai Verzi dell'albergo Croce Bianca. L'informazione si trova in un libro mastro oggi in possesso della famiglia. È preziosa perché comprova la sua nuova attività. "22 aprile 1892, Giacinto Ghedina de Basilio da Verocai, fotografo, per fiorini 200". Di certo l'attività fotografica divenne presto la primaria rispetto a quella di agricoltore, soprattutto per la produzione di cartoline interessanti sia la conca d'Ampezzo sia tutte le Dolomiti.

E' pur vero che il turismo era in crescita rigogliosa, favorito dai nuovi grandi alberghi e dal clima di pace in Europa. A parte naturalmente le schizofrenie della politica nei due paesi confinanti Regno d'Italia e Impero Austroungarico, legati da un patto di amicizia siglato addirittura dieci anni prima. Così mentre da un lato veniva sbandierata l'alleanza, dall'altro si costruivano fortezze sui reciproci confini. Tutto in un clima di segretezza (!).

LE CARTOLINE ILLUSTRATE INTERESSANO I MILITARI

A questo proposito ecco comparire i soggetti da fotografare con cautela in una lettera riservata che il Comune invia a Giacinto Ghedina e ai suoi colleghi fotografi Raffaele Zardini ed Emilio Terschak. "In seguito ad ordine ricevuto con Capitanale decreto, per sua norma e contegno lo scrivente le partecipa quanto segue.

1- Non possono venir fatte fotografie in direzione verso posizioni fortificate esistenti, e non possono venir fatti apparire nell'immagine obbiettivi fortificati od accessori.

2- Ogni volta che vengono fatte fotografie entro il territorio di divieto si deve prima, e a tempo, fare l'annuncio al Comando di fortezza …

3- Le carte illustrate, o le immagini terminate, prima di venir messe in commercio devono venir presentate senza indugio, in tre esemplari all'istesso Comando per i controlli del caso…"

Alla dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria, il 23 maggio 1915, e con la successiva entrata a Cortina della prima pattuglia il venerdì 28 maggio, Giacinto aveva 62 anni e la sua attività prevalente era quella di fotografo e produttore di cartoline illustrate. Non era stato richiamato a fare il soldato per l'età, perciò rimase a casa assieme alle donne e ai bambini. Invece il figlio Michele Basilio di diciotto anni era partito in divisa e mandato a combattere sul monte Piana.

In quei primi giorni poco o nulla cambiò nella vita della gente in Ampezzo. Fino al 4 giugno quando da Son Pauses vennero sparate le prime cannonate che per buona sorte non provocarono danni finendo sui prati fra Cadìn e Mortisa. Furono invece una sgradevole sorpresa per l'esercito italiano che probabilmente ignorava la posizione austriaca di Son Pauses. Diventò anche il primo vero segnale di guerra, con il corollario delle prime misure di polizia.

Si incominciò con l'arrestare per semplici sospetti le persone in vista. Il parroco don Pallua ed i suoi due cappellani vennero internati in una lontanissima borgata piemontese; altri come il pittore Luigi de Zanna a Firenze e anche più in giù in Sicilia come una celebre guida alpina. Poi ci fu il sequestro di ogni materiale che potesse anche lontanamente avere interesse militare. E questo toccò anche Giacinto Ghedina. Nel corso delle perquisizioni nella sua casa di Verocai i Reali Carabinieri sì imbatterono in materiale ritenuto sospetto (?): apparecchi fotografici, obbiettivi di ricambio, macchine per la stampa, lastre vergini o già impresse, gelatine e un ricchissimo corredo di cartoline.

Era l'archivio frutto di anni di lavoro, fotografie di località dolomitiche, scorci di vallate, canaloni, vallate, rocce, pareti, costoni erbosi, cime innevate. Purtroppo gran parte di quelle località raffiguravano il fronte di guerra. Perciò tutto venne sequestrato. Passarono gli anni, finì la guerra, ritornarono a casa i reduci, fra i quali anche Michele Basilio, ma il tesoro di Giacinto non venne restituito.

Come mai? Forse che nessuno si era interessato per riaverlo? Non se lo spiegano i nipoti i quali pensano invece a difficoltà con la burocrazia. Con buone ragioni visti i tempi dell'occupazione militare. C'erano foto ancora coperte da segreto? Chi lo sa? Per questo il nipote Paolo Ghedina ha ora ripreso le ricerche rivolgendosi direttamente all'ufficio legislativo del Ministero della cultura a Roma, diretto dal dottor Daniele Ravenna. (Per felice combinazione il suo direttore Daniele Ravenna è studioso della prima guerra, con pregevoli lavori sul ricupero storico del fronte dolomitico).

A un secolo di distanza il momento dovrebbe dunque essere favorevole. Ma oggi non è soltanto la famiglia ma è Cortina a reclamare quel prezioso patrimonio di conoscenza. Sempre che un arcano anzi una bolla di mistero non ne ostacoli il ritorno.