I CENTO ANNI DELLA STRADA DELLE DOLOMITI
    

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I CENTO ANNI DELLA STRADA DELLE DOLOMITI

Mario Ferruccio Belli

01/07/2009

L’invito alle cerimonie d'inaugurazione della strada delle Dolomiti con l'apertura al traffico dell'ultimo tronco arrivò al municipio di Ampezzo del Tirolo nei primi giorni di settembre 1909.

Diceva testualmente: «Portato a termine l'ultimo tratto della strada di Falzarego dall'ospizio a Cortina e con ciò aperta al pubblico passaggio l'intiera strada delle Dolomiti ...il giorno 11 settembre prossimo venturo seguirà la solenne inaugurazione...

La Commissione per le costruzioni stradali del Tirolo si pregia pertanto di invitare la Signoria Vostra a voler intervenire a questa festa». Il posto scelto per concludere la grande avventura alpina era il passo Falzarego, non dei più vicini giacché il valico, anche usando le scorciatoie, ra curta, si trovava a un tre ore di buon cammino per gli ampezzani, diciamo una quindicina di chilometri di salita circa. Eppure in molti avrebbero fatto in modo di recarsi ad assistere allo scoprimento della lapide commemorativa e alle cerimonie ufficiali con il consueto rinfresco finale, nella speranza che il tempo si mantenesse bello.

Sindaco, capocomune, era Luigi Dimai Fileno da Chiave, di professione contadino che, probabilmente, l'abito da cerimonia non lo possedeva e dunque si sarebbe presentato con la consueta giacca di fustagno con cui scendeva in ufficio. L'invito peraltro avvertiva «si prega di intervenire in abito da turista o da viaggio». Giovanni Ghedina Crepo, segretario comunale, fece sapere che avrebbe indossato la divisa di direttore della banda municipale, come i colleghi suonatori che sperava di convincere a salire portandosi gli strumenti per rallegrare l'atmosfera. Certamente non sarebbero mancati altri membri della giunta e del consiglio comunale, né il capitano distrettuale Fabritius nativo di Praga, con uno o due gendarmi a rappresentare il governo, né il giudice Gentilini di origine trentina, assieme al cancelliere, perché l'occasione era unica. Nulla aveva invece deciso il parroco-decano don Antonio Pallua che non amava le occasioni mondane, e cadendo la data ufficiale per i festeggiamenti di domenica, avrebbe quasi certamente delegato un cappellano a benedire il cippo augurale.

Era partito molto lontano il sogno di una strada che rompesse la barriera della conca ampezzana, chiusa ad ovest dalla giogaia dei monti sui quali dalla fine di novembre si adagiava il manto di neve, rendendo inaccessibili per mesi le vallate sorelle di Ampezzo e Fodom. Altrettanto era stato, più oltre, per i paesi al di qua del Pordoi e del Campolongo che era seppure più basso di quota. La tenaglia delle comunicazioni intervallive da economico- sociale era diventata politica quando, a metà Ottocento, era stato creato il Capitanato d'Ampezzo unendo i tre comuni di Colle, Pieve e appunto Cortina d'Ampezzo.

Fra i primi due non esistevano ostacoli naturali insormontabili, salvo qualche asperità del sentiero e, dunque, i collegamenti almeno a piedi erano possibili tutto l'anno. Diversa era purtroppo la barriera del Falzarego che separava inesorabilmente due mondi. Eppure in linea d'aria non erano così lontani. Nel 1868 il capitanato aveva energicamente sollecitato i suoi amministrati a costruire una qualche traccia di strada ove fosse possibile circolare, almeno nella buona stagione, con un carro a quattro ruote.

Erano stati promessi sussidi.

Così sia Colle sia Ampezzo avevano aderito, tentando qualche colpo di pala e carriola. Ma ci voleva ben altro! Personalmente il capitano si recava a Pieve (di Livinallongo) almeno una volta al mese. Quando i sentieri erano chiusi dalla neve ingaggiava, a spese del governo, un paio di uomini e si faceva trascinare su una slitta. Si vedono disegni di Luigi

Ghedina nel museo delle Regole che ricordano lo straordinario trasporto. I cacciatori e qualche audace, a prezzo di pericoli e sudore, solcavano il Falzarego innevato usando le ciaspe. Nei primi anni del Novecento, il dottor Majoni chiamato a salvare una partoriente in pericolo lo valicò con gli sci (i primi mai apparsi in Ampezzo!) almeno un paio di volte. S'era fatto accompagnare da un volenteroso, oltre che dal servizievole marito della donna. Ma fu un'avventura tant'è che la raccontava, seppure con un sorriso.

UNA STRADA AL SERVIZIO DEL TURISMO

Nell'ultimo decennio dell'Ottocento il problema venne affrontato a Bolzano, cui il turismo alla scoperta delle Dolomiti nel Tirolo meridionale faceva capo, per interessamento di Albert Wachtler (1831-1912), presidente di quella sezione del Doe AV, il club alpino austro-tedesco.

Egli per primo lanciò l'idea di un collegamento traversale fra i passi, ponendo alle estremità i due centri più allora conosciuti, appunto Bolzano e Ampezzo, salvo poi suggerire il proseguimento ideale fino a Dobbiaco, già toccata dalla Ferrovie Meridionali in collegamento con l'Europa.

Fra i più accesi sostenitori ebbe presto Theodor Christomannos (1854-1911), presidente della sezione di Merano dello stesso club, appassionato giramondo e fotografo, congiunto del precettore di lingua greca dell'imperatrice Sissy. Questo contribuì potentemente a diffondere l'iniziativa nell'opinione pubblica e, successivamente, a favorire gli stanziamenti governativi. Infine per fortunata combinazione, l'idea piacque allo Stato Maggiore di Vienna in quanto la futura strada, correndo quasi a ridosso del confine col regno d'Italia, poteva diventare utile in caso di guerra.

Come poi di fatto avvenne! Ricevuto l'assenso politico venne steso il piano finanziario che, com'era prassi allora nell'Impero, doveva contare in buona parte su mezzi propri. Infatti la strada, chiamata inizialmente «Strada del giogo del Pordoi e sul passo di Falzarego» venne programmata a pedaggio, cioè a pagamento.

Vi avrebbero contribuito perciò prima di tutto gli utenti, i turisti a cavallo o a dorso di mulo, i mercanti di bestiame, i carretti, le carrozze, e i trasportatori in genere. Quindi vennero coinvolti i Comuni attraversati in quanto primi beneficiari della futura arteria, ed era vero. Ampezzo entrò nel consorzio con una delibera del consiglio comunale il 10 gennaio 1900. I primi lavori sulla tratta Cortina-Falzarego iniziarono nel 1902 col taglio degli alberi e la rimozione delle ceppaie su tutta la tratta dal Pocol in su.

Falzarego. I progetti erano stati fatti abbastanza sollecitamente e, in pari tempo, erano stati presi i contatti per rimborsare i proprietari dei terreni danneggiati dall'attraversamento. La maggior parte aderì, senza bisogno di espropri e contese giuridiche, anche perché ne avrebbero avuto benefici per accedervi per portare a casa il legname e il foraggio. Nell'inverno del 1903 il Comune concesse l'apertura di una cava per la ghiaia poco sotto il Falzarego. Nel 1870 gli ampezzani avevano costruito una baracca, detta ospizio, circa mezzo chilometro prima del valico, dandola in gestione ad un coraggioso imprenditore, per dare ai passanti un riparo alle intemperie e qualche ristoro, specialmente nella cattiva stagione.

LA STRADA SI AVVICINA E COSÌ I PERICOLI Durante l'estate qualche spericolato turista provò a percorrere la pista con la propria automobile (sic) per andare a vedere come procedevano i lavori. Il Comune dovette intervenire sollecitando la Luogotenenza energicamente a bloccare gli incauti. «La Rappresentanza comunale ha espresso il desiderio che venga proibito l'uso degli automobili... Anche pel bestiame pascolante gli automobili sono pericolosi, specialmente pei cavalli...». Contestualmente fu programmato il casello per i pedaggi sui prati del Pocòl.

I lavori procedettero solleciti nel 1904 e 1905, sotto la direzione dell'ingegner progettista Gualtiero Adami. Nei due anni successivi, nonostante il ponte sul Boite fosse già finito, i lavori subirono un arresto causa l'attraversamento della Crepa di Pocol. Sembrò addirittura che si volesse salire lungo la vecchia curta, in mezzo ai prati.

Intervenne persino Karl Baedeker, editore di una celebre guida per i turisti, che aspettava notizie certe per stampare l'ultima edizione.

Il via gli giunse nell'inverno del 1906 dal Comune con la conferma che i lavori sarebbero ripresi bucando la montagna con una galleria: il giorno dell'inaugurazione si stava avvicinando. Da allora la strada entrò in ogni libro di alpinismo spalancando le località a cavallo dei passi al turistico mondiale. Dopo quelli del Pocòl anche sul Falzarego sorsero presto attività commerciali sia sul versante ampezzano che su quello di Livinallongo al Pian de la Locia.

Il passaggio quotidiano di carrozze e automobili (almeno in estate), crebbe a vista d'occhio come constatava giorno dopo giorno la casellante del Pocòl.

Venne persino introdotta una diligenza postale estiva che si appoggiava al nuovo albergo costruito dal Comune di Ampezzo lassù e preso in gestione, guarda caso, dallo stesso Christomannos.

Ma è stata la guerra a dare il «lancio» al Falzarego, cambiandone addirittura non solo la topografia e l'onomastica dei luoghi ma, sotto certi aspetti, pure il paesaggio e la linea delle montagne. Le Cinque Torri disseminate di trincee, le Tofane punteggiate dalle mulattiere, il Lagazuoi bucherellato dalle mine e il Castelletto scapitozzato dalla dinamite. Per non parlare degli impianti di risalita abbarbicati ovunque, ad uso della guerra prima, del turismo invernale ed estivo poi.

E tutto, o quasi, da quel lontano giorno di fine estate di cento anni or sono.