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A cento anni dalla Grande Guerra

Mario Ferruccio Belli

09/06/2014
In tempi di rievocazione della "Grande Guerra" raccontiamo la vicenda di alcuni giovanotti profughi in Italia e in particolare la storia di Illuminato de Zanna Bianco di Luigi, classe 1896, uno di quelli rimasti a Cortina perché non ancora diciottenni allo scoppio delle ostilità, nell'estate del 1914.

Nei giorni successivi a Caporetto e al ritiro dell'esercito italiano da Cortina, egli raggiunse Castelfranco. C'erano con lui Giulio Apollonio, Giuseppe Menardi Selo, Giovanni Apollonio Nert e Angelo Dimai Deo, figlio della celebre guida Antonio che i reali carabinieri, due anni prima, avevano deportato da qualche parte in Italia. Tutti, se fossero rimasti a casa, avendo ora l'età giusta, sarebbero stati precettati dall'esercito austriaco e inviati al fronte. La loro meta era Padova, dove sapevano esserci un centro di assistenza. Ma la tradotta sulla quale a Calalzo erano riusciti a trovare posto, si arrestò in aperta campagna.

Il gruppetto di ragazzi scese dalle vetture e risalì a ritroso il convoglio gridando: «ampezzani!» Ne racimolarono una trentina, in compagnia dei quali si incamminarono lungo la massicciata per raggiungere Padova. Giulio Apollonio conosceva il Veneto che aveva girato durante l'occupazione italiana, a procurare merci e viveri per gli alberghi della famiglia. Illuminato aveva frequentato le scuole superiori a Rovereto. Nonostante la giovane età essi sapevano quindi muoversi nel mondo. Raggiunta la stazione vi si accamparono per la notte, in una confusione indescrivibile.

Il giorno dopo cercarono il Centro di raccolta, sistemato nel Teatro Verdi, dove ottennero cinque lire a testa come primo soccorso. La seconda notte bivaccarono ancora nelle sale d'aspetto. Il cibo lo ritiravano dai soldati quando distribuivano il rancio. Quello non era un problema, perché l'esercito italiano era generoso sulle cibarie ai suoi soldati; infatti ce n'erano sempre per quanti avessero bisogno. Il terzo giorno, visto che la confusione aumentava anziché diminuire, decisero di lasciare Padova e andare a Milano. Nessuno vi era mai stato ma per qualche ragione misteriosa a loro pareva che colà avrebbero potuto cavarsela meglio. Montarono sul primo treno in partenza. La ressa era tale che non c'era da temere controlli. Perciò non presero il biglietto.

In un giorno ed una notte, compiendo infinite soste sempre in luoghi sconosciuti, furono a Milano. Era tardi ma decisero, ugualmente, di vedere la città. Alla Scala si dava il Mefistofele, ma non era per loro. Così decisero Giulio e Illuminato, facendo ritorno in stazione dove avevano lasciato uno di loro a guardia dei bagagli. Tutti assieme dormirono nelle sale d'aspetto.

DA MILANO AL MONFERRATO


Il mattino dopo gli incaricati governativi che con la fascia tricolore al braccio giravano fra i profughi, li indirizzarono al centro di assistenza Opera Monsignor Bonomelli. Ma anche lì trovarono troppi sbandati come loro. Decisero perciò di puntare su Genova. Ora s'era aggiunto Giovanni Apollonio Nert che esibiva con fierezza un paio di baffoni alla Cecco Beppe.

Il fatto destò l'attenzione di una pattuglia di carabinieri i quali, veduti i documenti che attestavano la qualità di profughi provenienti da Ampezzo (Austria), trasferì l'intero gruppo in un vagone di coda. Li avevano presi per spie. Dopo qualche chilometro il treno si arrestò in prossimità di una stazioncina con più binari di cui nessuno sapeva il nome ma doveva essere militare perché il loro vagone venne staccato e sospinto all'interno di una zona recintata.

Interrogati a lungo ebbero difficoltà a giustificare la loro presenza, così lontano dal loro paese e all'interno dell'Italia. Inoltre tutti avevano denaro in tasca, in parte portato fin da casa. Ma ciò che allarmava gli inquirenti erano i baffoni dell'Apollonio! Finalmente un ufficiale, più umano, gli prestò fede. Ma disse loro che il gruppo avrebbe dovuto dividersi. Dove volevano andare? Alcuni ripeterono Genova, l'unica città il cui nome gli era familiare. Giuseppe Menardi Selo puntò su Torino. Giulio Apollonio disse Casale Monferrato, dove riteneva fossero arrivati in carrozza i suoi parenti scappati da Cortina. De Zanna, Dimai e l'Apollonio dei baffi si accodarono a lui approdando a Casale. La famiglia degli albergatori Apollonio era effettivamente già arrivata da più giorni. Anzi quasi subito si seppe che vi avevano addirittura acquistato un terreno agricolo con un vasto caseggiato.

Giulio trovò così ospitalità dallo zio Luigi e dalle sorelle Isi, Clori e Bice. Anche Angelo Dimai si trattenne come ospite. In seguito egli avrebbe, anzi, sposato proprio la signorina Clori, conosciuta in quella occasione. Giovanni Apollonio Nert, inalberando i famosi baffi, ammaliò l'ostessa della locanda dove s'erano fermati a mangiare e vi si fermò come cameriere! Illuminato de Zanna si portò dal Commissariato deciso fermamente ad arrivare a Genova a cercare lavoro. Nel ricordare quella scelta diceva che aveva pensato agli ampezzani, non molti in verità, che negli anni erano scesi a Genova ad imbarcarsi sulle navi per l'America. Egli confidò discorsivamente al Commissario che sapeva persino scrivere a macchina. Al funzionario non parve vero proporgli di fermarsi al suo servizio. Considerato che nei paraggi c'erano i suoi amici, e la paga era discreta, Illuminato accettò.

A Casale gli ampezzani si fecero onore. Soprattutto Luigi Apollonio che, essendo intenditore di cavalli e bestiame in genere, riscosse un tale successo da essere reputato meglio di un veterinario. Giulio Apollonio, suo cugino, che aveva frequentato le scuole superiori a Trento, dopo qualche tempo si spostò a Milano deciso ad iscriversi al Politecnico, dove infatti negli anni seguenti si laureò in ingegneria.

DI NUOVO A CASA

Quando finì la guerra tutti vollero tornare a casa a Cortina. De Zanna, cui il Commissario aveva offerto di entrare in polizia, decise che prima voleva rivedere la famiglia, di cui non aveva notizie. Rifornito di denaro, partì da Casale verso la metà di novembre 1918, arrivando agevolmente sino a Treviso. Oltre, i treni non andavano, essendo distrutti i ponti sul Piave. Perciò si mise in cerca di un passaggio sui camion militari ma fu presto fermato dai carabinieri. Nessuno poteva entrare in zona di guerra senza uno speciale lasciapassare.

Gli toccò bivaccare tre giorni nella prefettura, insieme ad altri poveracci, oltre tutto senza i soldi che gli avevano sequestrato finché, grazie alle informazioni giunte da Casale, ottenne il sospirato documento. Tornò sulla strada per un passaggio. Portava uno zaino pesante nel quale con il gruzzolo che gli avevano restituito, aveva insaccato cioccolata, caffè, sapone, refe ed altri beni di cui aveva sentito essere penuria nelle cosiddette "terre redente". Così il linguaggio a dir poco offensivo della burocrazia definiva Cortina d'Ampezzo.

Dopo un periodo come impiegato del Comune, dove prima della guerra aveva già lavorato, de Zanna venne assunto dalla Ferrovia delle Dolomiti. Sposatosi con Elena Barbaria (1908-1997) figlia della guida alpina Bortolo, ebbe due figli Raffaella (1939) e Raniero (1941). Andato in pensione, essendo appassionato di storia, si gettò ad esplorare gli archivi del comune, della parrocchia e delle Regole. Scrisse decine di contributi sui giornali locali, fra i quali il Bollettino parrocchiale e il mensile Due Soldi edito dalla Cassa Rurale.

Fra i suoi allievi amava ricordare un giovane forestiero laureato in lettere antiche, di nome Giuseppe Richebuono, destinato a diventare il maestro degli storici di Cortina.

Nella foto: Ghedina Giacinto e la famiglia