Il gendarme baffuto che tiene la mano sinistra sull'elsa della spada e ci guarda interrogativo, nella foto di circa un secolo fa, si chiama Ludovico Ghedina, di sopranome "biaggio", in dialetto "biajo". Accanto c'è la sua famiglia.
Allegre e sorridenti le donne vestite nella mondura delle feste; perplessi invece i tre ragazzini, salvo il più grande a sinistra di nome Angelo. Essendo nato nel 1900 era quasi un ometto, perciò indossava la camicia bianca dal colletto alto degli adulti. Ebbene quel ragazzo, nel 1946 sarebbe diventato sindaco di Cortina d'Ampezzo, il primo del dopo guerra. Una parola ora per gli altri. Alla sua sinistra c'è il fratello Guido (1908?); poi la mamma Rosalia Alberti Rodèla ( ); poi la sorella Caterina (1899- ), bella ed elegante con la collana di coralli; infine il fratello Raffaele del 1906 (?).
Un gruppo consueto, messo in posa dal fotografo Giacinto Ghedina, se non fosse per il capofamiglia in divisa. Il Corpo della Gendarmeria "destinato a mantenere in ogni senso la pubblica quiete, la sicurezza, l'ordine del paese e a prevenire possibilmente i disordini e le trasgressioni" era stato istituito in Austria nel 1850, dopo la rivoluzione. Inizialmente ne erano stati previsti 16 reggimenti per un totale di 16.000 uomini, la cui ferma non doveva "essere mai minore di dieci anni". I gendarmi dovevano avere la perfetta "cognizione della lingua del paese (in Austria allora ce n'erano ben dieci) e saper leggere e scrivere". Il reparto più piccolo era composto da "quattro uomini non compresovi il sottufiziale che lo comanda".
Esattamente come quello cui era affidata la quiete d'Ampezzo e che aveva in organico anche due ampezzani, Ludovico Ghedina Biajo appunto, e un signore di nome Davide Zardini.
Sarebbero stati anche gli ultimi a vestire quella divisa ricca di bottoni dorati perché già nel 1915, allo scoppio della guerra, il compito della sicurezza e non solo lo avrebbero svolto i Reali Carabinieri.
C'è poi un altro personaggio che rende preziosa la foto ed è il ragazzino che indossa forse la sua prima cravatta, il cui nome è scritto nella storia di Cortina. Nel 1946 era a capo di un'impresa di costruzioni ben avviata, con la sede e i magazzini sul lato destro del torrente, oggi Lungo Boite Majoni, giusto accosto al ponte. Egli aveva vinto le prime elezioni della democrazia, capeggiando una lista civica che aveva come simbolo la Stella Alpina.
Erano tempi difficili di assestamento, ma pure con tanta voglia di cambiare. Soprattutto nei territori già austriaci si dibatteva la questione della collocazione politico amministrativa dei paesi, con gli accordi che sarebbero passati alla storia come patto Degasperi - Gruber. Le tensioni erano ancora fortissime. Malgrado il suo gruppo si fosse battuto per l'annessione alla nuova provincia autonoma di Bolzano, a Roma era stato deciso diversamente, confermando Cortina nella provincia di Belluno.
Ma, si disse, che come contropartita avrebbe ottenuto una qualche manifestazione internazionale di grande rilievo. Di fatto nella primavera del 1951, alla fine del suo quadriennio, il sindaco Angelo Ghedina era stato convocato a Roma dove gli avevano comunicato l'incredibile notizia. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) d'intesa con la Federazione Internazionale degli sport invernali (FIS) aveva assegnato a Cortina d'Ampezzo le Olimpiadi invernali del 1956. Il governo italiano avrebbe stanziato tutti i soldi necessari, e fatto tutto ciò che occorreva perché il grande evento riuscisse senza sbavature.
La notizia era stata mantenuta segreta, in attesa che egli la comunicasse alla popolazione.
Emozionato, per non dire stranito ed euforico, Ghedina aveva riprese il treno ripensando la straordinaria novità di cui era depositario, senza nemmeno telefonarla a qualcuno. Arrivato a casa si precipitò in municipio convocando un consiglio comunale straordinario. Ma, subito dopo, prese una sua decisione personale non meno eclatante. Senza dire nulla a nessuno, vestito a festa come già era, scese alle Scuole Elementari dove chiese al direttore Fedele Bianchi, 38 anni, di interrompere le lezioni e radunare i bambini nel salone centrale. Anche il direttore al quale aveva confidato il segreto era emozionato quando presentò ai ragazzi il loro sindaco dicendo che aveva un'importante comunicazione da dare. Molti di loro, ovviamente, conoscevano di vista se non altro il capo della amministrazione comunale ampezzana, perciò erano ancora più incuriositi. Nel silenzio Angelo prese dalla giacca un foglietto, lo spiegò e lesse le poche righe che vi aveva scritto. Le Olimpiadi invernali del 1956, le prime in Italia, sarebbero state giocate a Cortina d'Ampezzo. Poi, improvvisando, disse che loro erano i primi a saperlo. Scoppiò l'applauso e il direttore congedò senz'altro i ragazzi, anche se le lezioni non erano finite, perché la notizia richiedeva vacanza. Così, prima di sera, tutto il paese lo seppe; mentre i dettagli e l'elenco degli impegni presi dal governo vennero enunciati nel Consiglio comunale straordinario. Il giorno dopo l'annuncio, assolutamente impensabile, apparve a tutta pagina sui giornali italiani e alla radio. La televisione era appena agli inizi ma, fra cinque anni, sarebbe stata appunto quel mezzo di comunicazione a portare l'evento in tutto il pianeta. Grande Angelo Ghedina Biajo! Anche se ad organizzare lo spettacolo più importante della storia moderna di Cortina sarebbe stato un altro sindaco.