OTTOCENTO ANNI DI FEDE A CORTINA D'AMPEZZO
    

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OTTOCENTO ANNI DI FEDE A CORTINA D'AMPEZZO

Mario Ferruccio Belli

01/09/2009

 

Per tutto lo scorso anno la Cortina religiosa è stata in festa nel ricordo del «suo primo vagito» documentato nell'anno Domini 1208. Era il 21 marzo, venerdì prima della Pasqua, quando a Vicenza, nella casa in muratura del «signor Pietro Maurisio nella quale abitano gli scolari» certo «Stefano chierico romano» rilasciava una ricevuta liberatoria al «presbitero Menegardo della comunità di san Giacomo d'Ampezzo», assieme ai suoi confratelli di Auronzo, Domegge, Santo Stefano, Valle, Vigo, e San Vito per i debiti che avevano contratto nei confronti della «Pieve di Santa Maria». Contestualmente rendeva liberi certi beni (denaro, viveri, decime? non si sa) che aveva loro sequestrato in nome e per conto del loro superiore di Pieve di Cadore.

Infine restaurava i sette i religiosi nei loro diritti, impegnandosi solennemente a non recargli mai più alcuna molestia in futuro. Tutto questo, incluso il risarcimento delle spese fino allora sostenute, si legge scritto in buon latino da «Benincasa, notaio del sacro palazzo», alla presenza dei testimoni «il maestro Ugo di Francia, ser Damaso romano, Bertume di Giovanni vicentino e Ubertino di Volpe». Non si sa quale fosse il debito delle sette cappelle, di certo la cosiddetta «chiesa matrice» aveva fatto loro causa, usando anzi angherie immotivate ed ora, dopo chissà quante discussioni in paese, e davanti a tribunali, arrivava la conclusione per lei sfavorevole e invece vantaggiosa per le piccole comunità periferiche.

La vicenda, solo apparentemente strana, ma consueta in quell'epoca come ha documentato lo studioso Gian Domenico Zanderigo, si legge in una pergamena, pubblicata per la prima volta nel 1900 da Antonio Ronzon sul suo mensile Archivio storico cadorino.

Dunque una transazione fra i titolari di otto comunità religiose disperse fra i monti, in questo cantuccio dell'immenso patriarcato di Aquileia, avvenuta in un collegio universitario di Vicenza, probabilmente su richiesta degli interessati che avevano delegato la cura dei loro interessi ad un mediatore venuto da Roma per sbrogliare la difficile questione.

Una quietanza apparentemente modesta, ma di valore storico immenso perché certifica almeno fin dal 1208 l'esistenza della nostra pieve. Questioni marginali? Bagattelle? Certamente, ma pure la prova documentata che quegli antenati che si stropicciavano le mani, lieti d'essersi liberati da un'angheria imposta dal loro superiore che più avanti (secoli?) sarebbe diventato l'arcidiacono del Cadore, erano cittadini rispettosi dell'autorità, liberi e non servi della gleba come invece i vicini delle valli della Pusteria e consci dei propri diritti, frequentavano la chiesa di san Giacomo, luogo di aggregazione sociale e non solo di devozione. Così lo scorso anno, con legittima soddisfazione anche la popolazione cortinese ha gioito, spingendo gli occhi della mente (e della fantasia) a quel lontano giorno otto volte secolare, che si perde nel buio della leggenda. Da quando esisteva la chiesa di Cortina d'Ampezzo? Dai tempi immemorabili, forse il decimo o undicesimo secolo, come hanno confermato gli ultimi scavi archeologici che hanno rimarcato, fra l'altro, a metà chiesa la presenza di un campanile a pianta rotonda. Le otto comunità cadorine erano allora suddite del patriarca di Aquileia.

A Roma regnava il papa Innocenzo III, che aveva malinconicamente chiuso la Crociata indetta per liberare la Palestina e finita invece con il saccheggio di Constantinopoli, ideato dal doge veneziano Enrico Dandolo, il quale era in buona compagnia col re di Francia Filippo Augusto e un po' meno con quello inglese Giovanni Senzaterra. Non leggende ma storia. Ma, per pari completezza storica, va chiarito che la chiesa dei santi Filippo e Giacomo d'Ampezzo non era ancora una parrocchia, con le deleghe di autonomia e le responsabilità per il sacerdote incardinato, che è ben altra cosa, e che sarebbe nata soltanto centotrentanove anni e più tardi, esattamente nel 1347 sotto il patriarca Bertrando di san Genesio.

Perciò ricordiamo quel primo lontanissimo evento leggendo gli atti del corposo convegno tenuto lo scorso anno, nell'attesa del centenario ancora più importante che avverrà nel 2047 (quasi certamente) senza di noi.