Lo strano acquisto di due ampezzani del Settecento
    

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Lo strano acquisto di due ampezzani del Settecento

Mario Ferruccio Belli

01/01/2013
Nel 1782 Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d'Austria, decideva di mettere all'asta la maggior parte dei castelli che costellavano il suo immenso impero, costosi per la manutenzione e, soprattutto, resi inutili dalle nuove artiglierie. Nel lunghissimo elenco alla voce "p" figurava anche Peutelstein in Ampezzo del Tirolo che, dunque, finì all'asta alla non tanto modica cifra di 500 fiorini.

In quel prezzo erano esclusi gli arredi della cappella, che era previsto venissero donati alla parrocchia dei santi Filippo e Giacomo di Cortina, e in gran parte lo furono, salvo un calice doro finito, sembra, al ginnasio di Lienz. Comunque l'asta per la rocca ampezzana venne tenuta in maggio e andò deserta. La domanda negli eventuali acquirenti, magari in attesa che la base d'asta fosse abbassata, era una sola: che cosa farsene di un castello in cima alla collina a precipizio sul Boite e sul Felizòn? Comunque sia l'asta venne re-indetta nel 1783 al nuovo prezzo di partenza di 300 fiorini. A questo punto, secondo Richebuono, il Comune si sarebbe fatto avanti senza concorrenti e pagando unicamente in più una somma per gli arredi. Secondo invece altri documenti le cose non sarebbero andate così.

Almeno non in quell'occasione; anzi, quasi certamente, in epoca di poco posteriore perché, a comperare il castello, sarebbero state due persone di cui finora nessuno aveva parlato, esattamente Bortolo Dimai e Giuseppe Recafina. Due ampezzani che certamente speravano di farci un affare. Peraltro, mancando i contratti d'acquisto originari che non si trovavano neppure nei tempi andati, come vedremo, non si conoscono le loro aspettative e nemmeno quanti soldi vi avessero investito. Sia che fosse stato il Comune ad aggiudicarselo sia che fossero risultati aggiudicatari i due avventurosi capitalisti, la storia si muove su altre linee. Chiunque fosse il nuovo proprietario il castello venne presto (subito?) abbandonato anche dai pochi soldati rimasti di guarnigione. Il Capitano e Vicario l'aveva già lasciato da tempo scendendo in Ampezzo. Così rimasto deserto, in attesa di una decisione sul che farsene, finì sui libri per denunce di rapine occasionali.

Ad esempio un tale asportò la catena del pozzo e una campanella, che tentò di vendere in Ampezzo, ma venne denunciato e punito con una ammenda. Quasi mezzo secolo più tardi era ancora vuoto; così nei giorni della rivolta del '48 venne adibito a caposaldo per la difesa contro i rivoltosi del Calvi, e soldati regolari diretti a Venezia vi alloggiarono durante l'estate. Lo era ancora nel 1867, quando Vienna decise di demolirlo e farvi attorno una serie di fortini.

L'AFFARE DEI DUE CORAGGIOSI AMPEZZANI

Di recente è stato ritrovato negli archivi del comune di Cortina uno straordinario fascicolo intestato Protocollo assunto al Castello di Paltenstein li 14 giugno 1867, che ne parla.
Al di là del nome storpiato, ma l'estensore risulta essere un cancelliere di madrelingua tedesca che di nomi ne strapazza più d'uno, il documento riapre più di un mistero, soprattutto a proposito dei veri proprietari del castello, il Comune o altri? Sfogliamo le carte riportando anzitutto i nomi delle persone intervenute alla stesura del protocollo.

Vi ritroviamo personaggi celebri, fra i quali Silvestro Franceschi, costruttore del campanile, e Gaetano Ghedina Tomash, padre dei pittori omonimi e albergatore dell'Aquila Nera e, naturalmente, i nomi dei due personaggi, appunto il Dimai e il Recafina.

"Avanti l'imperial regio Pretore Hibler, Pasini cancellista. Presenti: 1 L'imperial regio Ufficiale del Genio Gedlirzka di Trento; 2 L'i. r. Capitano del Genio de Kopetzky; 3 L'i. r. Ingegnere Distrettuale Giovanni Flazt di Bressanone; 4 L'i. r. Agente forestale Luigi Mittellwalner di Niederdorf; 5 Giuseppe Jaegger senior di Niederdorf; 6 Angelo Franceschi, maestro stradale d'Ampezzo; 7 Angelo Apollonio e Fabiano Verocai periti; 8 Angelo Alverà Capo Comune d'Ampezzo; 9 Silvestro Franceschi consigliere comunale;
10 Gaetano Ghedina; 11 Luigi Barbaria membri della rappresentanza comunale d'Ampezzo; 12 Luigi Constantini Segretario comunale; 13 Angelo Valleferro, Merico della Regola alta di Laretto; 14 Giuseppe Verzi ed 15 Antonio Dimai di detta Regola; 16 Bortolo Dimai e Giuseppe Recafina, proprietari del Castello di Paltenstein".

Segue l'oggetto del convegno, indetto dalla imperial regia Pretura, che allora aveva la sede nell'odierno palazzo del municipio, con l'ordine giunto da Vienna di demolire il vecchio castello per costruire nuove fortificazioni.

"Fu emanato l'ordine di costruire dei fortini presso ed attorno il castello di Paltenstein, e dar piglio ai lavori preparatori per l'espropriazione del terreno".

Qui ritornano i nomi dei presunti proprietari, elencati in questo ordine. Il Comune d'Ampezzo per i terreni interessati dalle strade, fra le quali viene ricordata la vecchia "strada regia che conduce alla casa cantoniera e che serve anche alla condotta del fieno proveniente dal prato non espropriato da risarcire al Comune". La Regola alta di Lareto per i pascoli e i boschi. Infine "alcuni privati i quali, già da vari anni, fecero l'acquisto delle ruine e dell'area del Castello", per i quali viene rimarcato che ne erano proprietari non da poco, bensì da "vari anni!"; anche se non erano stati in grado di esibire il contratto di compravendita.

IL ROGITO SCOMPARSO
Chissà dov'era finito? Ad Innsbruck, sede della luogotenenza o a Vienna, negli archivi dei ministeri? Di certo non a Cortina dove non sono stati ritrovati neppure nel corso dei recenti lavori di sistemazione e riorganizzazione dell'archivio. Insomma, un bel pasticcio, come si vedrà.

Il fascicolo che stiamo commentando qui presenta la mancanza di alcuni fogli che dovevano contenere l'elenco delle particelle fondiarie del Comune e delle Regole; perciò la numerazione salta all'argomento dei rimborsi agli aventi diritto per l'esproprio, formulati dai periti i quali, sentite le pretese delle parti suggerivano fra l'altro "un abbuono da pagarsi ai proprietari del Castello, in via avversuale, di fiorini 70, valuta austriaca". Ma i nostri due privati cittadini avevano formulato ben altre richieste, mentre gli si offriva un risarcimento d'esproprio che, se lo si raffronta con quanto viene offerto agli altri, sembra davvero riduttivo.

La loro richiesta era infatti ben sette volte superiore. Eccola nel testo del documento.
" Bortolo Dimai e Giuseppe Recafina, quali rappresentanti i proprietari del Castello, non credono di poter accontentarsi della stima di questa Commissione, la quale trovò inaccettabile e fuori di ogni misura la loro pretesa che ebbero cuore di spingerla fino a fiorini 500,00 valuta austriaca" . Di conseguenza, per protesta, essi abbandonano la commissione: "si sono anzi allontanati!" Purtroppo per loro i lavori proseguono egualmente, anche se con un commento non a loro sfavorevole.

"Si osserva che il diritto di proprietà di Bortolo Dimai e consorti sopra le ruine e l'area del castello non fu contrastato, né dal Comune d'Ampezzo né dalla Regola Alta di Lareto; ma, dall'altro canto, non fu prodotto, e non era neppure rinvenibile negli archivi pretoriali, il documento del 1789 al quale, a dire delle parti, esso diritto si appoggia." Cioè tutti erano d'accordo che essi fossero veri proprietari del castello ma, purtroppo, non avevano in mano il rogito ufficiale d'acquisto. Ed è probabile che su questo piccolo mistero siano sorti anche gli equivoci degli studiosi che abbiamo detto.

Comunque queste sono le decisioni finali, che riassumiamo dal punto " Ricapitulazioni".
"Al comune d'Ampezzo, per terreni e legnami mercantili un indennizzo di fiorini 4.675,35. Alla Regola alta di Lareto per prati rovinati, gli alberi tagliati, i danni arrecati durante la demolizione e il deposito dei materiali di risulta, fiorini 5.196,36". Invece, proprio a causa del punto debole della loro richiesta, "ai proprietari delle ruine del Castello" soltanto fiorini 70,00! La nostra piccola storia finirebbe qui, anche se nelle carte si parla poi di una "sorgente che amministra l'acqua d'abbeveraggio ed alla fontana della cantoniera che verrà pure espropriata"; e del "bosco comunale non espropriato sotto la strada regia". Seguono le firme dei commissari, tutte manu propria. Mancano solo quelle dei due incauti acquirenti...

Nello stesso anno le rovine del castello vengono eliminate. Così risulta da una nota scritta da don Giovanni Maria, pievano d'Ampezzo, sul "Liber cronicum" della parrocchia.

"Durante il mese di luglio ed agosto 1867 furono asportati gli ultimi rimasugli del castello di Botestagno senza che si potesse rinvenire nessun indizio dell'epoca in cui desso era stato eseguito".