IN MORTE DI GIOVANNI SOTTSASS
    

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IN MORTE DI GIOVANNI SOTTSASS

Lettere al giornale

01/01/2009
Eravamo sempre tutti presi dalle nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane, tutti immersi, volenti o nolenti, nel bene e nel male, nello schema di vita dominante che consiste nel lavorare-produrre-consumare, quando arrivava Giovanni.
Giovanni sbucava all'improvviso, emergendo dai suoi abissi, ed eri contento di (ri)vederlo. Giovanni arrivava e avevi l'impressione che lo schema si rompesse per un attimo. Ti proponeva un concorso di poesia, oppure la lettura di una sua poesia, un linux-day ma anche altre cose bizzarre per un mondo che non ha molto tempo per queste «cose». Lo guardavi con simpatia e benevolenza e sempre con un minimo di retropensiero che ti faceva ritenere di essere tu quello «a posto», con «le carte in regola» e la lingua fluente, mentre lui era quello stravagante, animo da artista, un po' disturbato e afasico, dunque da non prendere troppo sul serio.
Ci eravamo abituati (e ora diciamo purtroppo), a vederlo riemergere dalle sue tremende crisi più vitale e attivo di prima e, per una sorta di assuefazione, davamo per scontato che anche questa volta ne sarebbe uscito e ti sarebbe piombato a casa, magari alle dieci di sera di una qualunque giornata d'inverno, dicendoti che stava meglio, che adesso voleva fare questo e poi quello e tante altre cose che ti lasciavano sempre un po' spiazzato e un minimo turbato.
Tra le belle parole pronunciate alla messa del suo funerale, parole di profonda partecipazione, commozione e sofferenza che riflettevano lo stato d'animo collettivo, don Davide Fiocco ha detto che ognuno si è chiesto se aveva fatto il possibile per aiutare Giovanni. Ha detto che era una domanda sterile ed in effetti, in questo momento, lo è.
Io, personalmente, mi sono sentito sollevato quando il sacerdote ha aggiunto che tutti, per quello che potevano, avevano fatto il possibile per aiutare Giovanni. Poi però il dubbio mi è rimasto e mi sono detto che ho fatto «qualcosa» per aiutare Giovanni, non certo tutto il possibile. Però, adesso, anche questo è solo un vano rimorso ed è un discorso tra me e me, che di certo non può e non vuole coinvolgere altri. Così come, ogni volta che penso, con una certa indulgenza all'autoassoluzione, che in fondo adesso Giovanni «sta meglio», che adesso ha trovato finalmente la pace che il suo animo tormentato e, diciamo pure, la sua malattia, non gli concedevano qui sulla terra, mi viene il dubbio che non sia proprio così; che quel suo essere fuori dagli schemi, quella sua grande capacità e volontà di comunicare in un mondo che non ha troppa pazienza di stare ad ascoltare un balbuziente; che la sua generosità imprevedibile ma autentica; che tutto ciò mi era prezioso e penso fosse prezioso a molti.
«L'anima che arde con il doppio dell'intensità, brucia nella metà del tempo»…e tante altre frasi di questo tipo passano per la mente per attenuare un po' il disagio e la costernazione quando si pensa ad una giovane vita che si è spenta: ma purtroppo le parole sono parole e valgono quello che valgono, mentre la dura realtà delle cose rimane tale.