IL RITORNO DEL DECANO AGOSTINO CONSTANTINI
    

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IL RITORNO DEL DECANO AGOSTINO CONSTANTINI

Mario Ferruccio Belli

01/03/2012
Alla fine di giugno del 1860, circa centocinquant'anni or sono, il Consiglio comunale di Ampezzo del Tirolo decideva di rendere il più solenne che fosse possibile l'arrivo del nuovo parroco Agostino Constantini. Per dimostrare di quanto affetto era circondato e fargli noto che l'avevano atteso da lungo tempo non si doveva badare a spese. Su questo fu d'accordo persino l'imperial regio giudice Trap che, probabilmente, non l'aveva mai conosciuto, se non di nome. Infatti quel sacerdote ampezzano non aveva mai lasciato la sua parrocchia di Canale d'Agordo, diocesi di Belluno. Così, avuta la notizia che la diocesi di Bressanone, d'intesa con quella di Belluno, l'aveva nominato nuovo decano d'Ampezzo, era stata creata una commissione per organizzarne l'ingresso. La guidava l'ingegnere Firmiliano Degasper che, per prima cosa, scrisse una lettera di ringraziamento al vescovo di Belluno; poi fece stampare e distribuire un congruo numero di manifesti di benvenuto; quindi predispose il programma dettagliato dei festeggiamenti, infine passò a riscuotere il compenso di ben 50 fiorini d'oro.

ARCHI DI TRIONFO, BANDA E CARROZZE
e sontuosi landau trainati da due cavalli ciascuno, con a bordo il giudice Trap, il suo cancelliere, il funzionario dell'ufficio imposte, il capo della gendarmeria, il sindaco con i membri della giunta, il capo della commissione edilizia, il padre dei poveri, il medico e altre minori autorità del paese scesero alla stazione di posta e cambio di Venàs, incontro all'ospite. Un araldo a cavallo e in divisa, che ogni poco soffiava nella tromba per avvertire del passaggio, precedeva il convoglio. Ad Acquabona, sul piazzale antistante la dogana, era stato eretto un arco innanzi al quale stavano schierati i bersaglieri colla banda; sul lato a monte stavano i sacerdoti della parrocchia in cotta e stola, con i chierichetti recanti il turibolo e il secchiello dell'acqua benedetta per un primo rito, mentre sul lato a valle erano allineati gli abitanti della frazione, tutti invitati ad indossare gli abiti della festa e le donne in vernazza. Più su, verso
Ciampusto, a congrua distanza di sicurezza, stavano gli armieri esperti nello sparo dei mortai, la cui eco rimbombava nella conca. In vista di Zuel le campane della chiesa di San Rocco, addobbata di festoni gialli e azzurri, suonavano a distesa. Sulla strada erano schierati i membri del Capitolo
reggenti i candelotti accesi, le insegne della confraternita e il prezioso Crocifisso dei miracoli.
A Bigontina, prima del ponte sull'omonimo torrente, la lunga processione formatasi al seguito delle carrozze si arrestò, accolta da un solenne arco di trionfo, quale da anni non s'era visto.
Era ricoperto di frasche d'abete frammiste ai fiori della conca, disposti in cerchi graziosi. Ai due lati dello stradone di Alemagna erano schierati gli scolari con i loro insegnanti e i rispettivi stendardi.
Dodici paja di ragazzi e ragazze vestiti in costume erano pronti ad offrire al neo decano Costantini i primari prodotti del paese. Leggermente discosti, per far rimarcare la loro antica diversità ed avendo alle spalle i giovanotti in costume con i gloriosi gonfaloni, osservavano compiaciuti i responsabili delle due Regole alte di Larieto e Ambrizola. La domenica seguente, giorno dell'investitura nel nuovo incarico, dopo la messa solenne, la banda rinforzata da un primo violinista e un flautista si esibì in piazza e nuovamente alla sera, nella sala comunale. Nella notte la conca venne rischiarata a lungo dai fuochi d'artificio, a spese del comune.

DAL GIUBILO AL DRAMMA
Insomma un successo grandioso, con il coinvolgimento dell'intera popolazione festante accolse dunque questo prete di frontiera nella comunità dov'era nato e cresciuto, ma dalla quale era lontano da un quarto di secolo. Ampezzo, un po' meno di tremila anime, era sede di un Giudizio distrettuale, per il quale era stata costruita la sontuosa sede, l'odierno municipio. Aveva un ospedale comunale presidiato da un medico; un corpo di pompieri volontari per la lotta agli incendi; una schola cantorum, e, da pochi anni, pure una banda musicale già apprezzata in tutta la regione. Per la scuola popolare, obbligatoria sia per i maschi che per le femmine, il Comune aveva costruito una sede propria (l'odierna Ciasa de ra Regoles), e ne stava predisponendo una seconda per la neo istituita Scuola superiore d'arte industriale. La definizione "cospicuo decanato d'Ampezzo", che a Canale d'Agordo avevano letto nell'indirizzo di ringraziamento al loro arciprete in procinto di partire, era insomma pienamente azzeccato. Nel lungo viaggio di ritorno, sulla diligenza postale, don Agostino aveva certamente meditato anche sulle altre parole e complimenti che gli avevano rivolto e di cui teneva in mano il testo. Da"l'ultimo addio è per noi giorno di lutto… " ai giudizi " immutabile ilarità di volto e piacevolezza di modi", fino agli elogi "mente sagace, dottrina, prudenza, volontà ferma e brama ardente del pubblico bene…". Doveva essere tutto vero, e beneaugurante per il suo futuro di decano in Ampezzo se, dopo pochi mesi dall'arrivo, il Consiglio comunale di Cortina, quasi per ribadirgli la stima che si stava guadagnando, aveva deliberato un ulteriore compenso, "di elargirgli l'importo di fiorini 300 in moneta d'oro sopra il suo stipendio". Ma il destino, o la provvidenza giacché si tratta di un ecclesiastico, aveva deciso diversamente per don Agostino Constantini. Nel pomeriggio del 5 luglio 1864 i suoi collaboratori lo ritrovavano senza vita, accasciato sul tavolo di lavoro. Ignote le cause della morte. Aveva appena compiuto cinquantacinque anni; erano appena tre anni e mezzo che reggeva il decanato dei santi Filippo e Giacomo d'Ampezzo. Crisi cardiaca, infarto, sincope? Soltanto ipotesi, giacché la finca normalmente completata con una breve diagnosi, qui è bianca. Gli studiosi segnalano che ad altri parroci sarebbe toccata quella sorte fatale. Ma, a scorrere le vecchie carte polverose, sarebbero stati ancor più numerosi quelli che avrebbero volontariamente rinunciato prima del termine.