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UNA TOCCANTE TESTIMONIANA DAL TERREMOTO D'ABRUZZO

Lettere al giornale

01/05/2009

Raggiungiamo l'Aquila al mattino della domenica di Pasqua, due medici e tre infermieri tutti operanti nella provincia di Belluno.

La strada è deserta, il silenzio regna come uno spietato sovrano ed ho negli occhi l'immagine televisiva di quella bara bianca adagiata sulla grande cassa del papà. Il PMA (punto medico avanzato) del SUEM118 che ci è stato affidato è situato all'ingresso di un delizioso paesino di montagna adagiato sulla cima di un rialzo collinare ad 850 metri slm: tutt'intorno campi, colli, alberi, un castello che mostra evidentissimi segni di cedimento recente e la neve ancora troppo vicina per consentire a noi di apprezzarne lo splendore ed alla primavera di iniziare a brillare. Con nostra sorpresa troviamo nel locale 7 lettini da campo occupati da 6 ultraottuagenarie e da un uomo di una sessantina d'anni: sono in quel luogo principalmente per ripararsi dal freddo essendo, la nostra, l'unica struttura da campo dotata di un minimo di riscaldamento; ma Angelina presenta una grave obesità con diverse limitazioni fisiche che di fatto rendono impossibile ogni toilette personale e, per evitare il numero delle minzioni, si è autosospesa la terapia diuretica rischiando l'edema polmonare.

Teresa ci viene presentata come alcolista cronica, facile alle ricadute: ma le sue condizioni appaiono tutt'altro che critiche e la figlia, stupita, ci dice di non averla mai vista così serena.

Luigi è il più giovane ma disabile al 100%, presenta convulsioni frequentissime e diabete scompensato, giace nel letto guardandoci con occhi tristi, un berretto di lana marrone calato sugli occhi, occhi di bambino sperduto, non sa se accordare anche a noi la stessa fiducia che aveva concesso ai nostri colleghi che sono rientrati e sta soffrendo del recente abbandono.

Le altre signore mostrano i segni di una vecchiaia arcigna ma accettata con grandissima dignità. Grande il numero di figli e di amici che entrano ed escono nella tenda per portare cibo caldo, sorrisi e testimoniare che il contatto non è interrotto; ci chiediamo se da noi sarebbe lo stesso.

Dopo le presentazioni ufficiali, durante le quali ci vengono presentati i «maggiorenti» del paese ed una coppia di giovanissimi sposi che dal giorno del terremoto non hanno smesso per un istante di prodigarsi in mille modi per la loro comunità, resto solo con Caterina e Tobia, due infermieri professionali tra i migliori che mi sia stato dato incontrare; Caterina, graziosa e minuta, apparentemente fragile, in realtà straordinariamente forte ed efficiente, si accosta ai malati con una miscela perfetta di professionalità e semplicità che immediatamente scioglie le riserve e rasserena l'emozione dell'incontro. Possiede il dono di scoprire in un attimo le cose che non vanno e di risolvere i problemi prima che si materializzino; resterà giorno e notte in quella tenda per tutta la settimana. Tobia: una roccia, spigolosa, dura e splendida come le pareti, i diedri, le fessure della dolomia che ama e che continua a scalare nonostante l'età (la mia!) e, come me, è volontario del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). Solo due occhi azzurri estremamente agili che evitano il contatto e tradiscono un'emozione lasciando intravedere un mondo di valori profondi ed inespressi.

Parla pochissimo, è instancabile, forse sospettoso, mi sento osservato da entrambi e temo di poterli deludere anche per le mie attuali caratteristiche professionali, poco adatte al compito affidatomi.

La tendopoli dove tutti gli abitanti sono stati obbligati ad entrare dopo aver abbandonato le case pericolanti, distanti solo pochi metri, parte dalla nostra base e si estende in un campo, purtroppo con un cattivo drenaggio quindi piuttosto umido; le tende sono tutte uguali, di un blu scuro, perfettamente allineate, numerate, poste ai lati di un sentiero ghiaioso opportunamente denominato «via Belluno». Sono state, infatti, montate e sono costantemente controllate e assistite da volontari della protezione civile che fa capo a quella provincia. Uomini infaticabili, sanno perfettamente cosa fare e cosa non fare; sotto le splendide, nuove divise gialle e blu arricchite da strisce di tessuto rifrangente, portano un'altra divisa, invisibile, che non tolgono mai: anche un cieco vedrebbe che si tratta di alpini! Degli alpini hanno lo spirito di sacrificio, la forza e la fragilità, la serietà e l'allegria.

Hanno spalle larghe, mani che sembrano pale di badile, carattere da vendere; non sono mai polemici, nemmeno con due loro «colleghi» che provengono da un'altra regione e che nessuno sa capire cosa facciano in quel luogo tranne fumare e criticare il lavoro degli altri e persino la cottura della pasta...

Ma la divisa, esterna, è esattamente la stessa e sul petto uno dei due porta la scritta «presidente»: non è chiaro se si tratti

del cognome o della qualifica, più probabile la seconda.

Le ore passano lente ma anche veloci, al pallido sole succede vento freddo e pioggia, sembra quasi nevicare tanto bassa è la temperatura. Chiuso nel mio sacco a pelo di piumino sto caldo ma è spiacevole per me spogliarmi e rivestirmi e non posso pensare al disagio di donne, anziani e bambini, abituati sino a ieri a tutte le comodità del vivere d'oggi e che, a differenza di tutti noi, prolungheranno le privazioni ancora per chissà quanto tempo. Sono talmente stanco che non avverto le scosse che pur si susseguono gettando nello sconforto molti dei nostri nuovi amici.

La popolazione vive per lo più attorno al campo da pallavolo dove sono stati allestiti un tendone ristorante, la cucina da campo e una tenda dedicata ai bambini: tre ragazzine sui 10 anni e 4 bimbi più piccoli, piena di giochi, pennelli, libri etc. Tutti sembrano sereni, ritenendosi fortunati perché nel loro paese non ci sono stati decessi e anche le lesioni alle case non sembrano tanto gravi: ma temono nuovi crolli e sono consapevoli che, nella migliore delle ipotesi, non rientreranno rapidamente nelle loro case. Molti residenti collaborano con noi e con la protezione civile fornendo un aiuto indispensabile: due volontarie della Croce Rossa Italiana (C.R.I.) si alternano nel guidarci in luoghi a noi sconosciuti con una dedizione assoluta, sono sorelle, una è studentessa d'ingegneria all'Aquila ed ha perduto un'amica nel terremoto; abbiamo poi una dottoressa che si sta specializzando in ginecologia che non riesce a staccarsi dai suoi compaesani e ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto, un giovanotto che, suturato ad un dito morsogli dal suo cane, dobbiamo medicare più volte al giorno perché non riusciamo a togliergli la pala dalle mani...

Abruzzesi, veramente gente forte e gentile! Con gli infermieri operiamo sia nella tenda dormitorio (per visitare ai genitali un volontario della protezione civile che presentava una dermatite contagiosa: Caterina mia ha fatto da schermo tenendo una barella sollevata per alcuni minuti) che «a domicilio» nelle tende; in una, conosciamo una splendida signora di 94 anni nata nel giorno del terremoto che ha distrutto la stessa regione nel dicembre del 1915 causando quasi trentamila morti. Osserviamo diversi casi di malattie da raffreddamento con febbre e tosse soprattutto tra i bambini, poi cistiti, dermatiti ed altre patologie sicuramente legate alle scarse possibilità di igiene personale. Anche per queste ragioni riusciamo a fare una capatina in città presso la sede del comando nella speranza di ottenere un secondo box doccia che ci consentirebbe, tra l'altro, di separare i maschi dalle femmine: è impressionante il numero di mezzi meccanici, auto di servizio, di persone che vi lavorano. All'ingresso campeggia un ragazzo scout con tanto di gambotte pelose, calzoni corti di velluto blu e berretto a larghe tese: la classica persona che nessuna ragazza si filerebbe e che non gradirei trovarmi alle spalle nel sottopassaggio di una metropolitana ma che, in quel contesto, sembra rivestire un ruolo di primaria importanza e dà segni di saperlo; si è permesso di dare dell'incapace ad una nostra super infermiera che, assieme all'altro nostro medico, ricopre con abnegazione l'ingratissimo compito di assistere la dirigenza.

Pochi i casi clinici rilevanti, una frattura d'omero, un morso di cane, febbri elevate nei bambini; la nostra presenza di sanitari ha più lo scopo di tranquillizzare la popolazione e di assistere la ripresa delle normali attività mediche, in particolare della medicina di base che abbisognerebbe solo di una tenda dedicata e di un allacciamento alla luce per il computer.

Sul finire della settimana esce il sole e fa subito caldo, i fiori esplodono nei campi e gli alberi da frutta si mostrano in tutta la loro bellezza; la frazione più lontana che ci è stata affidata è a 1380 di quota, in un posto d'incredibile bellezza dal quale appare in tutta la sua magnificenza il Gran Sasso candido di neve. Lassù fa di nuovo freddo ed assisto alla messa in sicurezza mediante «imbragatura» di un campanile del '200 da parte di pompieri funamboli; il rischio di crollo è altissimo ed è bene che un'auto medica rimanga sul posto per ogni evenienza, fortunatamente invano.

Giunge il giorno della partenza e non tolgo gli occhiali da sole anche se è nuvolo perché non voglio manifestare la mia commozione; Luigi è più triste del solito, si è molto affezionato a noi seguendoci ovunque, anche nella mensa dei volontari, unico del paese. Tutti i suoi paesani gli vogliono un gran bene ma sa che se il corpo sanitario se ne va, deve andare in una tenda da solo perciò, con Caterina e Tobia, facciamo di tutto per convincerlo a entrare provvisoriamente in un istituto.

Come da un fulmine, viene improvvisamente colpito da una crisi epilettica: è la prima dal giorno del terremoto e nessuno di noi pensa a una coincidenza, gettandoci nel più profondo sconforto.

Passate le consegne ai nuovi colleghi di Pieve di Cadore, montiamo in macchina per rientrare ma, al di fuori di ogni retorica, lasciamo in quel luogo una parte di noi. Difficile trarre un bilancio anche sull'onda delle notizie che ci giungevano da casa sulle critiche alla protezione civile e alle operazioni di soccorso in generale; il nostro è stato un punto di osservazione molto periferico e la particolare angolazione dalla quale abbiamo osservato gli eventi non ci consente certo di generalizzare.

Sono sicuro però che quelle persone hanno apprezzato immensamente lo sforzo che è stato fatto da donne e da uomini aventi come unico scopo quello di portare aiuto e amore a persone in grave difficoltà e difficilmente ci dimenticheranno.

La prossima primavera salirò quella collina e avrò il cuore in gola per paura di non poter riabbracciare tutti gli amici che ho lasciato: soprattutto uno, l'unico in questa breve storia, il cui nome non è di fantasia.

                                                    Un medico del CNSAS