INNAMORARSI DI UNA MONTAGNA
    

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INNAMORARSI DI UNA MONTAGNA

Lettere al giornale

01/04/2010
«Andiamo a camminare?». Questa domanda me la sono sentita rivolgere molti anni fa da quelli che sarebbero diventati presto alcuni dei miei più cari amici, gli amici di Cortina. Io, non proprio abitatore della città e della pianura, perché venivo comunque dal profondo centro, dagli Appennini, non riuscivo a capire bene. Si va a piedi da qualche parte, oppure si passeggia per non andare da nessuna parte. Avvertivo però la forza di quell'infinito intransitivo. E così sono andato a camminare ed ho scoperto la montagna. D'estate e d'inverno, intrecciando sentieri d'alta quota e parole, sudore e silenzi, ascoltando pensieri e respiri. L'anima vagabonda si è lasciata guidare dall'amicizia, ha assaporato il profondo tacere della neve quando l'aria è un diamante che fa brillare le cime. Quando, come ha scritto Rigoni Stern, «tra gli alberi innevati anche le cose della vita appaiono più chiare». Momenti di eternità e fuga dal tempo sotto lo sguardo di ciò che è grande e profondo, sotto lo sguardo divino dei monti. È stato scritto che la montagna la si conosce soltanto ascendendola. Per chi come me soffre persino di vertigini questo forse rimarrà incomprensibile. Eppure nei miei vagabondaggi cortinesi i miei amici mi hanno fatto conoscere chi si era seduto sul tetto del mondo: Lino Lacedelli. Ora che lui è salito ancora più in alto dei suoi ottomila, mi piace ricordarlo. Due impressioni dentro l'umana simpatia dell'incontro. Le sue mani, potenti ed elastiche, di ragazzo anziano. Mani di chi ha guadagnato palmo a palmo, in un a tu per tu con la roccia e il ghiaccio, il duro ineffabile regno delle cime. Mani di uomo, di alpinista, di un conquistatore dell'inutile, di quel traguardo effimero e prezioso quanto la vita stessa, che va attraversata con lo stesso sforzo sorridente. Il secondo ricordo ha a che fare con il piacere di raccontare che credo Lacedelli possedesse. Come si dice, se non hai una buona storia e non hai qualcuno a cui raccontarla, sei finito veramente. Lino aveva sempre delle buone storie e non gli era difficile diventare il narratore che animava la tavolata. E successe anche la sera che cenammo assieme dopo il convegno organizzato dagli amici dell'Associazione «Facciamo un nido». Tra i mille aneddoti delle sue imprese ci fu un'espressione che mi è rimasta attaccata. Lui, la prima volta davanti al K2: «Quando vedi una montagna come quella ti innamori». Gli brillavano gli occhi, ma io, ostinato, non capivo: come ci si può innamorare di una montagna? Un'altra domanda senza risposta. Eppure ora comincio a capire. Quello era il suo paesaggio, e di un paesaggio ci si innamora esattamente come di un volto. L'impressionante mole verticale di quella montagna satura di agitazione e di pace l'aveva fatto innamorare. Lui aveva amato le sue montagne sin da bambino, così come i suoi nipoti e tutti i bambini di Cortina amano le loro montagne. Esse racchiudono come fortezze, più di altri paesaggi, il mistero del creato, e non a caso sono state scelte dagli uomini come simboli privilegiati del trascendente, dell'assoluto, di Dio. Esse costringono a sollevare lo sguardo dell'anima verso regioni dove risiede «ciò che non si può raggiungere con la sola forza di volontà». Ora comprendo l'invocazione di Thoreau: uomo, sei libero? Allora cammina. Ora mi capita di dire spesso ai miei amici degli Appennini, «andiamo a camminare », ed essi capiscono. Ora mi sorprendo a posare lo sguardo innamorato sul profilo dei monti e capisco Lino Lacedelli. Mi viene in mente Montessori. Sì, perché è stata la scuola Montessori di Zuel che mi ha portato la prima volta a Cortina. Lei dice, due fedi salvano l'uomo: la fede in Dio e la fede in se stessi. Così due tentazioni rischiano di perderlo: la tentazione del possesso e quella del potere. La montagna che Lino Lacedelli ha amato ci insegna che bisogna viaggiare leggeri, che ogni possesso è un fardello e che forse niente ci appartiene, se non nella purezza dello sguardo. Che c'è un'ambizione più grande del potere che è la potenza che ci spinge non verso il di più, ma verso l'oltre, nella mite conquista di noi stessi. Finchè, guardando le montagne, scopriremo con Lino che «serena / l'eternità attende / al crocevia delle stelle».
Raniero Regni