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IN RICORDO DI LINO ZANETTIN

Evaldo Gaspari

01/06/2011
 Il 4 maggio scorso è mancato Lino Zanettin dopo alcuni anni di sofferente immobilità in casa.
L'ho conosciuto da "nemico" e con una certa apprensione nell'autunno del 1937 durante la battaglia del Sas da Péra combattuto dall'esercito di Chiave contro quello di Alverà. C'era stata un'altra "battaglia del Sas da Péra" nel giugno del 1915 e riportata su di una tavola di Achille Beltrame de "La Domenica del Corriere", che illustrava la conquista del forte di Sas da Péra e della cittadella di Staolin da parte delle truppe del Regio Esercito italiano. Il forte era una semplice cava di pietra e la cittadella non aveva più di tre o quattro case: diversi polli di Ampezzo furono trovati stecchiti dal gran ridere.
Tornando alla nostra infanzia, come ho accennato in altre occasioni, oltre che credere e obbedire bisognava pure combattere e l'Italia fascista nei suoi ultimi dieci anni di esistenza si è quasi sempre trovata in armi contro qualcuno.
Nel 1937, dopo la "gloriosa e vantaggiosa" conquista dell'Impero etiopico, l'Italia era impegnata non in un conflitto diretto, bensì nell'aiuto militare al Generale Francisco Franco che, ribellatosi al legittimo governo spagnolo, aveva provocato in quel paese la guerra civile. L'Italia guerriera si trovava quindi nella condizione quasi anomala di disoccupata con le armi al piede. Noi ragazzini avevamo pensato di rimediare a questa situazione di pace, pace che era l'aspirazione delle corrotte democrazie plutocratiche dell'occidente, non nostra; ci eravamo quindi attivati nell'organizzare una guerraiola tra i villaggi.
Emulare il Duce costituiva il massimo del prestigio, visto che a scuola ci insegnavano che era l'uomo più perfetto del mondo, anche nelle sue esternazioni bellicose. Una mattina il comandante di Alverà, Leo Girardi "Narda", comunicò al nostro comandante di Chiave Igino Dimai "Fileno" la dichiarazione di guerra, con inizio delle ostilità nel pomeriggio sul Sas da Péra. Per rinforzare i contingenti dei due eserciti, erano accorsi volontari e mercenari di altri villaggi con fionde, sassi, spade di legno ed elmi ex austriaci in testa. Iniziata la battaglia, noi di Chiave ci siamo accorti che un drappello nemico guidato con accesa determinazione da Lino Zanettin cercava di aggirarci salendo la base del "Picheto" dalla parte di Staolin. Subito un nostro distaccamento intervenne sventando l'attacco e ricacciando indietro gli avversari. La guerra si concluse senza vinti né vincitori e per fortuna con solo qualche ferito leggero tra i combattenti.
Per me che facevo parte dell'artiglieria con in dotazione una unica fionda più grande, non ci furono danni; questi, invece, mi capitarono la sera quando mia madre, presente a mia insaputa nel fienile di casa per foraggiare la mucca, udì il discorso che tenevo con gli amici sull'esito del combattimento.
Presentatomi poi per la cena, al posto di questa ricevetti una bella scarica di botte, perché avevo disobbedito all'impegno che avevo preso di non partecipare al conflitto.
Con Lino ci siamo incontrati non più da avversari nel 1944, quando entrambi appartenenti alla organizzazione Todt, io in qualità di garzone meccanico al mitico Garage Centrale e addetto alle riparazioni degli automezzi della Wehrmacht, e lui come autista della Speer, settore che prendeva nome da Albert Speer, Ministro degli Armamenti del Reich.
Trasportava materiale vario per l’esercito tedesco, operando nelle province di Bolzano e Belluno, e ogni tanto entrava in garage con il suo grosso camion tedesco Büssing, per il cambio dell’olio e altri piccoli interventi. Alla fine della guerra, questo camion che fra l’altro aveva anche la trazione anteriore, per fortuna rimase in garage e fu poi assegnato alla cantoniera Anas di Majon, dove il caro Francesco Pastella pensò bene di adattarlo a spazzaneve con l’applicazione del vomere.
Lino si dedicò anche allo sport come bobista, e proprio lui fece parte di quell'equipaggio del bob a quattro che, uscito di posta alla fine dell'ultima curva da Sopiazes, attraversò sfondandola la cabina dei cronometristi lasciandoli spaventatissimi ma illesi. Pure questo episodio, sicuramente unico nella storia del bob, meritò una tavola illustrata sulla "La Domenica del Corriere".
La famiglia di Lino era originaria di Cibiana, dove il padre aveva un'impresa edile, alla quale fu data in appalto nel 1919 la costruzione della tratta della Ferrovia Dolomiti da Peaio a Venas. L'impresa si trasferì poi a Cortina con il cantiere ubicato dove ora c'è l'Hotel Principe, ma non ebbe vita lunga, forse perché i figli Remo, Antonio e Lino scelsero altre attività.
Addio, Lino, ti ho accompagnato all'ultima dimora con un affettuoso ricordo che non dimenticherò.