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600 anni di Ospitale, Lerosa, Travenanzes

Mario Ferruccio Belli

01/03/2013

La regola di Vinigo non esiste più ma, negli archivi delle Regole di Ampezzo, ci sono nove pergamene scritte fra il 1225 il 1415, quando ad Ospitale, nei pressi del valico di Cimabanche, i vinighesi possedevano la cosiddetta monte di Lerosa e Travenanzes.

Nel dialetto ampezzano ra monte (plurale ra montes, sempre al femminile) indica il pascolo e le praterie di alta quota, con le relative malghe e gli eventuali boschi, tutti proprietà collettiva delle rispettive Regole. Su quei luoghi, nell'inverno del 1412 i soldati dell'arciduca d'Austria assaltarono il castello di Botestagno, dominio del patriarcato di Aquileia, ma vennero "miracolosamente" fermati. La loro intenzione era quella di aprire la strada all'imperatore Sigismondo di Lussemburgo che, dopo la sua elezione a re di Roma avvenuta l'anno prima 1411, aveva deciso di farsi incoronare dal papa.

Come proprio in questi giorni la stampa ha ricordato, quelli erano anni di confusione in tutta l'Europa, se si pensa che a Roma convivevano un papa ed un antipapa, citato per essere stato l'ultimo a dare proprio allora le sue dimissioni! Comunque sia, a difendere Botestagno erano accorsi anche i volontari di Ampezzo e di alcuni paesi del Cadore, fra cui Selva, Borca, Vodo, Peaio e Vinigo, che facevano parte della parrocchia di San Vito.

Come sempre avvenuto in tutte le guerre, ci furono le consuete nefandezze, saccheggi, incendi e perdita di vite umane da ambo le parti. In fiamme finì per primo l'antico ospizio, di seguito le case e malghe di Vinigo. Anche la chiesetta dei santi Antonio, Nicolò e Biagio, colà esistente dal 1226, subì danni. Ma Botestagno resistette e i soldati dell'arciduca si ritirarono senza invadere Ampezzo e il Cadore.

Purtroppo il loro comandante Jan da Vilanders, riuscì a catturare alcuni soldati di Vinigo, portandoli in catene a Brunico, si battevano sì in difesa del patriarca, ma pure dei loro beni.
Qualche tempo dopo arrivò in Cadore la notizia che era possibile salvare gli infelici pagando un riscatto di 500 ducati d'oro.

Il 21 di luglio i capifamiglia di Vinigo si riunirono in assemblea a discutere sulla proposta e, soprattutto, dove reperire quella enorme somma. Il notaio Andrea, figlio del signor Riccardo Cruzzolla da Valle di San Martino (Cadore), scrisse che vennero eletti Antonio, figlio di Giovanni Ingaldey e Gidino, figlio di Antonio Sclatarino, con l'incarico di cercare il denaro dando in garanzia quei beni che fossero necessari. I delegati avrebbero dovuto recarsi poi a Brunico, consegnare il riscatto e riportare a casa i compatrioti prigionieri.

Non si conosce dove né da chi essi avessero bussato per ottenere il denaro. Di sicuro consta che trovarono le porte aperte soltanto presso gli ampezzani della regola di Larieto, le cui monti pascolive erano contigue alle proprietà dei vinighesi.

Quella di Travenanzes la godevano anzi in comune, così risulta dalle pergamene 1237 e del 1238.
Ingaldei e Sclatarino, ottenuto l'oro richiesto, scesero a Brunico, pagarono il riscatto riportando a casa i compatrioti, festeggiati come si conviene e attribuendo il successo alla Madonna che prima li aveva anche difesi. Peraltro il problema si ripresentò qualche tempo più tardi al momento di restituire il prestito. L'assemblea dei capi famiglia discusse a lungo e non disponendo del denaro necessario propose di mettere in vendita gli stessi pascoli già dati in pegno e garanzia. Come previsto dalla normativa venne richiesta l'autorizzazione al Maggior Consiglio di Pieve che la concesse con difficoltà, "per grazia speciale".

UN NOTAIO AMPEZZANO VERBALIZZA LA FINE DI UN MONDO

Il 1 settembre 1415, nella piazza di Peaio, alla presenza del pievano di San Vito, don Antonio di ser Lot e di undici testimoni forestieri, l'assemblea della Regola di Vinigo, dopo aver ringraziato l'Ingaldey e lo Sclatarino per il lavoro svolto, li incaricò di portarlo a compimento, dando per approvata ogni loro decisione, qualunque cosa sarà da voi fatta … sarà da noi inviolabilmente rispettata.

Il notaio era l'ampezzano Giovanni figlio del maestro Meneghello di Chiave. Toccò a lui scrivere l'atto che poneva la parola fine al possesso secolare dei pascoli vinighesi a nord di Cortina. Ma prima annotò in riassunto i fatti dolorosi di tre anni prima, peraltro conclusi riportando alle loro fa- miglie i prigionieri. Ora non possedendo la Regola il denaro per restituire il prestito, andavano sentiti uno ad uno i capifamiglia presenti. Tutti si dissero d'accordo, meno Tomaso Frasenelli, non consenziente alla vendita della sua parte.

L'atto di vendita della monte di Lerosa dei Vinighesi sita in territorio di Ampezzo di Cadore, al di là del castello di Botestagno, con tutta la valle e il luogo dell'ospizio di Ospitale" venne stipulato.
Lo sottoscrissero da una parte i due plenipotenziari di Vinigo, dall'altro i dieci rappresentanti della Regola di Larieto, appositamente convenuti. Essi versando il prezzo pattuito di duemila lire e seicento denari veneti, presero formalmente atto del dissenso di Tomaso Frasenelli, che, dunque, rimase consorte in quella monte.

Secondo Richebuono una lira era il valore di una pecora. Fra le numerose clausole ricordiamo il diritto degli acquirenti di ricostruire l'ospizio e le case bruciate in tempo di guerra dagli armigeri del duca d'Austria.

L'ultima; e l'ultima che sanciva l'impegno di Vinigo a consegnare "tutti i diritti antichi, rogiti e scritture". Cioè le preziose dalle quali siamo partiti.

LA PERGAMENA E GLI AFFRESCHI

L'atto di compravendita sul quale è trascritta la cronistoria delle vicende eccezionali che lo avevano preceduto, è complesso nella misura in cui erano eccezionali quei tempi lontani. Nel linguaggio notarile quasi tutto vi è descritto. Dai fatti d'arme dell'inverno del 1412 al di là di Botestagno e l'ospizio bruciato, fino ai terreni in vendita individuati e descritti nei loro confini storici, per finire al paragrafo degli archivi di Vinigo che vengono presi in carico dalla acquirente Regola di Larieto.

La storia civile si intreccia a quella religiosa dei paesi di Cortina e San Vito. La tradizione, successivamente, interviene a completare il più grande avvenimento religioso avvenuto in questa parte del mondo, sotto i patriarchi. Ci sono le cappelle dedicate alla Madonna della Difesa cui si doveva il miracolo, la prima in Ampezzo (purtroppo demolita per ricostruirla più grande) e l'altra a San Vito, nella quale gli affreschi tuttora esistenti confermano sia i disastri sia il ritorno della pace sui pascoli ai confini con l'Austria ora non più di Vinigo.

Le vicende scritte nelle pergamene, la prima del 1225, l'ultima di quasi due secoli più tardi, sono state già raccontate dagli studiosi, fra i primi Giuseppe Richebuono (Genova, 1923), nella sua tesi di laurea, discussa con il prof. Cinzio Violante dell'Università Cattolica di Milano e successivamente pubblicata a cura del prof. Giovanni Fabbiani, a Belluno, con il titolo Ampezzo di Cadore, 1962 e poi ancora nella Storia d'Ampezzo, 2° edizione, 1993 (pag 565).

Il possesso dei pascoli e boschi di Ospitale, Lerosa e Travenanzes, tutti posti da 1500 metri circa sul livello del mare in su, già allora rappresentava una certa anomalia nel mondo regoliero. La lontananza dal paese di Vinigo, ai confini con San Vigilio di Marebbe - Marou e con Dobbiaco - Toblach, soprattutto per la transumanza con il bestiame, almeno due giorni e più (circa trenta chilometri) non per nulla viene letteralmente riportata nelle parole del delegato di Vinigo, con cui egli cercava di sminuirne il valore e giustificarne la vendita. Peraltro non vanno dimenticate simili situazioni nel millenario mondo regoliero, di lontananza delle monti pascolive dai legittimi proprietari come ad esempio Giau e le Regole di San Vito e Ajàrnola e la Regola di Calalzo, eccetera.

Potrebbero sembrare leggende sorte nel buio dei secoli, invece sono fatti storici avvenuti appena seicento anni fa. Lo ha ricordato anche il vescovo di Belluno, in occasione dei festeggiamenti per il sesto centenario nella chiesa della Difesa, a Cortina.


(nella foto: il pascolo di Lerosa visto da Ra Croda de r'Ancona)